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Le piste per finanziare l’esercito

La polemica sul presunto “buco” nelle finanze dell’esercito (v. RMSI 01/2024 pag. 9) si è rivelata una tempesta in un bicchier d’acqua.

Ma resta il problema di come ricostituire le capacità delle forze armate in una fase critica della situazione internazionale che coincide, internamente, con un periodo segnato da ristrettezze di bilancio.

La decisione del Parlamento di rinviare di cinque anni, dal 2030 al 2035, l’obiettivo di aumentare le spese militari all’1% del PIL non è scritta nella pietra ma a oggi è quella che funge da riferimento per la pianificazione.

La spesa crescerà in misura meno rapida del previsto. Entro il 2030 passerà dagli attuali 5.7 a 7.8 miliardi di franchi, contro i 9.5 ipotizzati inizialmente.

Per il triennio 2025-2027 il Consiglio federale ha esentato l’esercito dai tagli lineari previsti in altri ambiti, ma lo spostamento dell’obiettivo potrebbe creare lacune di capacità in certi ambiti (come l’artiglieria) e rallentare l’ammodernamento delle forze armate.

Oggi, su 17 battaglioni di fanteria, solo sei sono interamente equipaggiati. Su quattro gruppi d’artiglieria uno solo è pienamente efficiente. Su sei battaglioni carri, quelli completamente equipaggiati sono due.

Se l’obiettivo dell’1% del PIL fosse stato mantenuto al 2030, l’esercito avrebbe potuto essere completamente riequipaggiato nel 2035. Rinviando la scadenza al 2035, bisognerebbe attendere almeno il 2040 per avere un equipaggiamento completo e sistemi d’arma moderni. Non da ultimo, la proroga di cinque anni costringerà a mantenere in esercizio il materiale più vecchio con relativi forti costi di manutenzione. D’altra parte, anche i problemi finanziari della Confederazione sono sotto gli occhi di tutti. Nei prossimi anni, Berna si vedrà confrontata con un peggioramento del quadro complessivo.

All’orizzonte si profilano solo cifre rosse.

Per tenere i bilanci in equilibrio e rispettare il freno all’indebitamento, che vieta deficit strutturali, mancheranno dai tre ai quattro miliardi di franchi all’anno. Siccome le spese, ben inteso non solo a causa dell’esercito, cresceranno più delle entrate, bisognerà per forza di cose risparmiare in quegli ambiti in cui le uscite federali non sono vincolate.

La battaglia sui conti è quindi annunciata e le diverse lobby si stanno già attivando per evitare tagli nei rispettivi settori.

Ma con i soli risparmi, complici i veti incrociati che ostacoleranno la ricerca di maggioranze politiche, non si andrebbe comunque lontano. Fra gli esperti c’è chi sostiene apertamente che a medio termine, per far quadrare i conti, non si potrà evitare anche un aumento della pressione fiscale. Sta di fatto che con le rigorose regole attuali l’esercito non potrà mai disporre di quello di cui ha bisogno nei tempi auspicati, se non andando pesantemente a colpire, tagliando o congelando – cosa del tutto inverosimile e politicamente insostenibile – altri compiti federali.

Per questo sono state evocate, a vario titolo, alcune piste per un finanziamento separato delle maggiori spese militari.

Ce ne sono almeno quattro.

Dalle file del Centro, partito della direttrice del Dipartimento della difesa Viola Amherd, è partita l’idea di aumentare l’IVA di 1 punto percentuale per sei anni. Questo permetterebbe alla Confederazione di incassare 3.4 miliardi in più all’anno.
Con questo importo, moltiplicato per sei, sarebbe possibile reperire i circa 20 miliardi di franchi in più necessari per l’esercito. L’ipotesi di un aumento della pressione fiscale limitato nel tempo – il presidente del partito Gerhard Pfister ha parlato anche di un possibile ritocco dell’imposta federale diretta – è stata accolta molto freddamente, anche perché nessuno crede alla provvisorietà di una simile misura.
La stessa imposta federale diretta è un derivato della tassa militare introdotta in tempo di guerra e mai soppressa. Se non altro, visto che un aumento dell’IVA richiede il voto popolare, sarebbe un’occasione per interpellare il sovrano sulla difesa nazionale. “È solo andando alle urne”, ha detto Pfister, “che avremo una discussione adeguata sul prezzo della nostra sicurezza e che otterremo un plebiscito chiaro alla fine”.

La seconda possibile pista per ricavare in modo più celere una ventina di miliardi di franchi senza “pestare i piedi” ad altri settori è quella di un allentamento temporaneo del freno all’indebitamento. Oggi, per legge, sono ammesse uscite straordinarie solo in quelle situazioni che sfuggono al controllo della Confederazione, quali forti recessioni o catastrofi naturali. Le spese miliardarie per la pandemia e per i rifugiati ucraini, ad esempio, sono già contabilizzate a parte. Non si potrebbe fare altrettanto anche per l’esercito quando si è in presenza di una crisi internazionale?
L’anno scorso, il “senatore” bernese Werner Salzmann (UDC) aveva fatto una proposta in questo senso, ma dopo la forte opposizione del Consiglio federale e della responsabile della Finanze Karin Keller-Sutter l’aveva ritirata.

La terza possibilità di un finanziamento separato e mirato è quella evocata sui giornali del gruppo “CH Media” dallo storico Robert U. Vogler, anch’egli critico sulla reale provvisorietà della tassa proposta dal Centro. La sua idea è di proporre una sorta di prestito federale come quello emesso nel 1936 per il finanziamento di un programma straordinario di armamento di 235 milioni (oggi quasi 2 miliardi di franchi).
Il prestito di difesa nazionale fu accompagnato da una massiccia campagna promozionale e il ricavato ammontò a 335 milioni di franchi. Il Governo mise in vendita cedole di 100 franchi (valore attuale 800 franchi) remunerate al 3% per dieci anni.
Probabilmente, ha scritto, Vogler, anche oggi molti cittadini favorevoli all’esercito aderirebbero a questa operazione, che dovrebbe avere una durata di 10-15 anni, con un tasso vantaggioso e rimborsi scaglionati e anticipati per estrazione, allo scopo di ridurre progressivamente l’onere a carico dello Stato.
L’importo potrebbe ammontare a 10 miliardi e il valore nominale delle cedole fra i 500 e i 1000 franchi.

La quarta è del consigliere nazionale solettese del PLR Simon Michel, maggiore dell’esercito (proviene dall’artiglieria) e amministratore della Ypsomed, ed è stata anticipata dal “Tages-Anzeiger”. Michel sostiene l’introduzione temporanea di una “tassa militare” o “tassa sulla sicurezza” a carico delle aziende. Per un periodo di dieci anni – dal 2026 al 2035 – l’imposta sugli utili per le aziende a livello federale verrebbe aumentata dall’attuale 8.5 al 9.5%. Questo aggravio mirato porterebbe alla Confederazione ulteriori 1.3–1.4 miliardi di franchi all’anno e in dieci anni 13-14 miliardi.
Secondo Michel, questa è all’incirca l’importo necessario per preparare l’esercito in tempo per un possibile conflitto militare. A suo avviso, stando al quotidiano zurighese, l’esercito è anche un’assicurazione. Considerata l’attuale situazione di sicurezza, è improbabile che l’evento assicurato, ovvero un attacco militare terrestre, si verifichi effettivamente. “Ma se dovesse accadere, sarebbe una catastrofe”, ha dichiarato Michel.

L’esercito svizzero è “l’assicurazione definitiva per tutta la Svizzera”. Anche in questo caso si dovrebbe andare a votare perché l’aliquota delle persone giuridiche è fissata nella Costituzione.

Provocazioni, ingenuità, azzardo? Se non altro c’è materia su cui discutere.

Testo: magg Giovanni Galli
Articolo apparso nella RMSI 2/2024

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Una risposta a “Le piste per finanziare l’esercito”

  1. Buongiorno,
    la sicurezza del nostro Paese va mantenuta e aggiornata secondo
    i pericoli e le minacce del momento e in futuro.
    Bisogna capire che esercito vogliamo, da quello che si “intuisce” vogliamo allinearci alla NATO, peggio entrare in questa a organizzazione guerrafondaia.
    In fondo l’unico nemico che abbiamo è la NATO che ci circonda, ossia gli USA presenti con le loro basi in Europa e altri siti,.
    artefici della guerra RUSSIA-Ucraina (in sostanza USA).
    Cordiale Saluti

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