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L’approccio irrealistico dell’Occidente alla guerra

Forse 80 anni di pace in Europa hanno reso tutti meno consapevoli di cosa significhi una guerra.

Probabilmente gli attuali leader europei, cresciuti in un’epoca di pace in cui si è ritenuto che le sfide più importanti da affrontare fossero l’ambiente e le uguaglianze di genere, hanno perso ogni cognizione di cosa rappresenti un conflitto per i nostri popoli e nazioni.

Le ragioni possono essere tante ma il dato di fatto, ineluttabile quanto preoccupante, è che molti leader in Europa parlano con sempre maggiore enfasi di una guerra imminente con la Russia, della necessità di prepararsi a combatterla e di inviare truppe UE/NATO in Ucraina.

Temi che potrebbero apparire giustificati dalla drammatica situazione delle truppe ucraine la cui tenuta del fronte è resa sempre più ardua dalla crescente superiorità russa e dal continuo calo di truppe, armi, mezzi e munizioni a disposizione delle forze di Kiev, provate dalla fine o quasi degli aiuti occidentali.

Il dibattito sull’Europa “pronta” alla guerra è stato più volte rilanciato dai vertici della UE e di alcune nazioni, benché sia l’alto commissario per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell e soprattutto il segretario generale della NATO Lens Stoltenberg e il presidente del Comitato Militare, l’ammiraglio olandese Rob Bauer, abbiamo categoricamente escluso che vi siano indizi di una volontà russa di attaccare paesi nazioni NATO.

Lo stesso Putin ha definito “un’assurdità” l’idea di attaccare nazioni aderenti alla NATO, ciò nonostante le pressioni per trasformare la guerra russo-ucraina nella “nostra guerra” sono crescenti, soprattutto in Polonia e nelle Repubbliche Baltiche, ma anche in Francia dove le dichiarazioni del presidente Emmanuel Macron circa il possibile invio di truppe francesi in Ucraina hanno creato un contesto in cui i continui proclami di sostegno all’Ucraina “fino alla vittoria”, si aggiungono a continui allarmismi tesi a indurre l’opinione pubblica a prepararsi alla guerra.

Negli ultimi due anni NATO e UE hanno fornito aiuti militari all’Ucraina, ma hanno anche inviato a combattere quasi 14 000 “volontari” (secondo i dati forniti dai russi che li chiamano “mercenari”) provenienti da diverse nazioni di tutto il mondo dei quali circa 6000 sarebbero stati uccisi. Degli 8812 “volontari” europei 3611 sarebbero stati uccisi: per lo più polacchi, francesi, britannici, rumeni, croati, tedeschi, baltici, cechi, kosovari, bosniaci, macedoni, irlandesi, spagnoli, finlandesi, portoghesi, italiani e persino svizzeri.

Secondo i dati del Ministero della Difesa russo dalla Confederazione sarebbero partiti per combattere in Ucraina 57 volontari, 30 dei quali sarebbero stati uccisi.

C’è però una differenza sostanziale tra l’invio di volontari, la cui morte può venire agevolmente ignorata dai media, e lo schieramento di corpi di spedizione europei i cui caduti tornerebbero in Patria in bare avvolte dalle bandiere nazionali.

Certo si fa presto a dire “guerra” quando a combatterla ci vanno gli ucraini, ma il bellicismo interventista con cui oggi si vorrebbero inviare truppe regolari in Ucraina non sembra tenere conto dell’impatto che migliaia di morti e feriti avrebbero sulle società e i governi d’Europa. Quanti caduti possiamo sostenere?

Meglio rispondere a questa domanda prima di preannunciare un conflitto aperto con Mosca che peraltro nessuno in Europa sarebbe in grado di combattere.

A una guerra contro la Russia occorreva prepararsi per tempo, a partire dal 2007 quando Putin denunciò la minaccia dell’ampliamento a est della NATO e la costituzione di due basi missilistiche statunitensi in Polonia e Romania.

Non lo si è fatto. Anzi, a ben guardare l’Europa non si è preparata alla guerra con la Russia con massicci programmi di riarmo neppure dopo il Maidan, l’inizio del conflitto in Donbass e l’annessione russa della Crimea, nel 2014. O dopo il fallimento degli accordi di Minsk che, come hanno dichiarato candidamente in tempi recenti Angela Merkel e Francois Hollande, avevano solo lo scopo di guadagnare tempo per permettere alle truppe di Kiev di venire preparate dalle potenze occidentali alla guerra con la Russia.

Gli europei non si sono preparati a un confronto militare su vasta scala neppure dopo l’attacco russo all’Ucraina nel febbraio 2022, forse convinti dalla nostra stessa propaganda che i russi sarebbero stati messi rapidamente in ginocchio, anche militarmente, dalle sanzioni economiche.

Le odierne dichiarazioni bellicose di premier, ministri e qualche generale, cozzano quindi con la brutale realtà dei fatti.

Emmanuel Macron sostiene che non c’è “nessun limite” al sostegno all’Ucraina, neppure l’invio di truppe, mentre il ministro per l’Europa, Jean-Noël Barrot ha aggiunto che “non possiamo escludere nulla, dobbiamo fare di tutto per impedire alla Russia di vincere questa guerra”. Però Emmanuel Macron è da anni ai ferri corti con l’apparato militare e nelle ultime settimane sembra si sia ingigantito il fenomeno delle dimissioni di personale militare, a fronte della scarsa adesione all’arruolamento di nuove reclute: problema che riguarda da anni tutto l’Occidente, dagli USA all’Europa al Giappone, ma che si è ampliato ulteriormente negli ultimi due anni.

La Francia ha ceduto il 40% della sua artiglieria (“regina” anche di questa guerra) all’Ucraina con gran parte delle munizioni disponibili e oggi il suo esercito schiera appena 82 obici semoventi, di cui 32 in procinto di essere radiati per anzianità.

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Testo: dr. Gianandrea Gaiani
Articolo apparso nellla RMSI 2/2024

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