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Di scacchiere, giocatori, pedinee mosse

È un caso che l’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele sia avvenuto nel momento in cui la Russia si trovava confrontata a una fase di stallo sul fronte ucraino? Gli analisti strategici rispondono di no. Perché per loro natura sono poco inclini a credere alle coincidenze e perché questa partita, come non mai, si gioca su più scacchiere.

Lo scontro mediorientale ha allentato la pressione internazionale su Mosca, che si trovava (e si trova) in difficoltà sul terreno. E – guarda caso – a pochi giorni dall’azione di Hamas, il 19 ottobre, sono iniziati gli attacchi missilistici degli Houthi contro le navi in transito nel Mar Rosso, rotta chiave per il traffico marittimo verso l’Europa. A fare da trait-d’union l’Iran, comune sostenitore e sponsor dei “ribelli” yemeniti, di Hamas, degli Hezbollah libanesi e di altri gruppi armati e attualmente in rapporti più che buoni con Mosca, a sua volta da tempo ben presente (anche militarmente) sul teatro mediorientale.

Basta dunque “fare uno più uno” per vedere la costellazione degli scontri in corso trasformarsi in un quadro d’insieme a dir poco inquietante. La “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”– per usare la parole del Papa – rischia dunque di diventare un vero conflitto globale generalizzato, seppure frammentato e non necessariamente ovunque ad alta intensità?

Altri elementi concorrono a sollevare l’interrogativo, soprattutto guardando la situazione in ottica europea. Per il Vecchio Continente le prospettive future offrono più motivi di preoccupazione che di fiducia. Le imminenti elezioni americane potrebbero segnare l’inizio di un disimpegno USA nella protezione degli alleati d’oltre Atlantico. Ma senza la garanzia dell’ombrello nucleare americano gli europei, al di là delle dichiarazioni baldanzose, non appaiono né abbastanza forti, né abbastanza uniti per sostenere le sfide che si profilano all’orizzonte.

Questione di mezzi militari, ma anche di capacità produttive, alla luce della voracità di risorse che sta mostrando la guerra in Ucraina e dei limiti dell’apparato industriale europeo. Inoltre il quadro politico interno di numerosi paesi sta conoscendo una vistosa virata a destra, che dà voce e peso a chi vorrebbe un ritorno a politiche più legate agli interessi nazionali che ai disegni strategici continentali (che portano l’impronta del predominio statunitense).

Sovente demonizzati come “fascisti” (curiosa analogia con la stessa accusa che Mosca rivolge agli Ucraini), questi schieramenti sollevano non di meno una questione centrale: ha senso, per gli europei, alimentare un confronto sempre più aspro con l’Orso russo (che tanto più è ferito e in difficoltà, tanto più diventa pericoloso)?

Non sarebbe più saggio cercare una forma di de-escalation e, col tempo, il ritorno a una situazione vagamente simile a quella della Guerra Fredda?

Allora non si stava forse benissimo, ma almeno si stava in pace! L’impressione è che questi interrogativi trovino sempre più attenzione in Europa, in particolare in quei paesi in cui le difficoltà economiche cominciano a farsi sentire pesantemente sulla vita quotidiana dei cittadini.

Lo sanno i governi europei, alle prese con crescenti crisi di consenso. E lo sa anche Mosca, erede della lunga esperienza sovietica, per la quale sarebbe semplicemente assurdo non cercare far leva anche su questi aspetti.

Mentre scriviamo (a fine gennaio 2024) in diversi paesi della UE, a cominciare dalla Francia, i contadini in rivolta bloccano le autostrade e dimostrano tutta la loro collera nei confronti di una società da cui non si sentono riconosciuti… ma che ha anche la colpa di “importare prodotti ucraini a prezzi molto inferiori ai costi francesi, per sostenere lo sforzo bellico di quel paese” (affermazione di un leader del movimento).

È solo un esempio, forse casuale nelle intenzioni. Ma che può assumere più di un significato.

Su un altro teatro, quello dei media (in particolare dei social), è in atto una guerra parallela che presenta risvolti da non sottovalutare.

Se le fake news diffuse da fonti russe, prese individualmente, possono apparire spesso grossolane e di dubbia efficacia, non di meno disseminano incertezza e confusione, mescolandosi al flusso di informazione- spazzatura che imperversa in rete e alimentando una diffidenza diffusa, che finisce col contagiare anche la percezione degli eventi e dei fatti comprovati. All’insegna del “meglio non fidarsi di nessuno, tanto in un modo o nell’altro mentono tutti”.

Il rischio, a questo punto, è quello di cadere in un altro meccanismo perverso, per altro oggi diffuso: la lettura complottista. Dietro tutto ci sarebbero cioè pochi burattinai, che tirano le fila di un unico Grande Gioco finalizzato al dominio del mondo. La storia ci insegna che queste presunte congiure esistono soprattutto nella mente di chi cerca un pretesto per incanalare il malcontento e l’ostilità verso altri, allontanandoli da sé e dalle proprie responsabilità.

Pensare ai contadini francesi che protestano come ad “agenti di Mosca” o leggere l’avanzata dei partiti di destra in Europa come risultato di una “congiura internazionale nazifascista” è semplicistico e fuorviante e può andare bene solo a chi si ostina a vedere il mondo in bianco e nero.

La realtà che abbiamo sotto gli occhi è piuttosto simile a una grande scacchiera, o meglio a un grande tavolo su cui vi sono più scacchiere, sulle quali giocatori diversi giocano in contemporanea più partite, in un intreccio non sempre evidente ma riconoscibile, per chi sa osservare e ha la pazienza di farlo prima di trarre conclusioni.

Ma questo è l’unico modo efficace per individuare quando e come una mossa può essere vincente. Ed evitare possibilmente di farsi magiare prima.

Inevitabilmente c’è anche di mezzo un velo di nebbia, che avvolge alcune pedine e alcuni giocatori più di altri. Ma anche la nebbia, si sa, fa parte del gioco. In primis del gioco della guerra.

Testo: uff spec Giancarlo Dillena
Articolo apparso nellla RMSI 1/2024

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