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AQUA 24

Gli ingredienti per il successo

Difendere, proteggere, aiutare. Sono questi i principali ambiti di impiego dell’Esercito svizzero ed è quindi naturale che qualora siamo chiamati ad intervenire, si tratti di situazioni complesse, dure, tragiche.

Per quanto ci si possa preparare, però, è stato davvero difficile vedere e toccare con mano quanto accaduto in Vallemaggia: la tragedia lascia senza parole. Le immagini dell’Alta Valle devastata e ferita sono sconvolgenti, ma non bastano a spiegare le implicazioni sociali e umane che questo evento ha scatenato. Al contempo, però, rivela energie inimmaginabili, che si traducono nella volontà di resistere della comunità colpita dalla disgrazia e nel forte desiderio di voler aiutare da parte di coloro che sono stati risparmiati.

Come ho ripetuto a colleghi e superiori, bisogna recarsi sul luogo di una catastrofe per comprenderla veramente e sapere reagire di conseguenza. È per questo che ogni volta che ne ho avuto la possibilità mi sono recato in valle per visitare la truppa, per essere al loro fianco, per sentirmi vicino alla popolazione. Ogni volta ho percepito, ho vissuto situazioni e sensazioni differenti.

Wahrnehmung. In tedesco il termine è molto più specifico e forte: prendere coscienza di cosa realmente sia accaduto e soprattutto stia accadendo.

È un’esperienza di cui fare tesoro per il futuro.
Così come ne faranno tesoro i militari che, provenienti da ogni angolo della Svizzera, si sono trovati catapultati nella crisi con il compito di dare un contributo a costruire quanto distrutto e così provare a ricostruire un briciolo di normalità.

Non ritengo che il contributo dell’esercito sia stato fondamentale se considerato isolatamente. Tuttavia, è stato determinante come parte di un sistema, quello della protezione della popolazione, che ha funzionato. Che si trattasse di compiti di routine, di affrontare difficoltà o risolvere problemi – che certamente non sono mancati – la preparazione, la conoscenza reciproca, la condotta sul campo e l’impegno personale sono stati gli elementi che hanno caratterizzato ogni giornata, portando al successo dell’intervento in Valle Maggia.

Sono particolarmente fiero per il contributo delle nostre truppe. È per questo che per la redazione di queste pagine, senza indugio ho messo a disposizione della RMSI il mio capo della comunicazione “AQUA 24”, dandogli il compito di informare sull’impiego, ma soprattutto di sviscerare le mille sfaccettature che un’esperienza come questa lascia in chi vi si trova immerso, che si tratti di un soldato o di un divisionario.

div Maurizio Dattrino
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AQUA 24, intervista a membri dell'esercito durante le operazioni di pulizia nel Valle Maggia, in Ticino. © DDPS/Dominic Wenger
AQUA 24, intervista a membri dell’esercito durante le operazioni di pulizia nel Valle Maggia, in Ticino. © DDPS/Dominic Wenger

L’estate delle alluvioni

La primavera piovosa e la bella stagione in ritardo non potevano lasciar presagire un’estate da archiviare sotto la voce “catastrofe”. 

Giovedì 20 giugno MeteoSvizzera annuncia preallerta temporali di livello 3 su Ticino e Moesa. Il giorno dopo la perturbazione s’infiamma prima delle 18.00, e non è un temporale estivo. Per due ore il cielo martella la Mesolcina. La rara sequenza di bombe d’acqua in poco tempo gonfia riali, invade campi e strade. Già dopo le 19.00 la valle è colpita in più punti. Alle 19.42 nella frazione di Sorte il Riale Molera esce dall’argine e scarica tonnellate di pietra. Qui il disastro diventa tragedia.

La casa di una famiglia di Sorte è rimasta in piedi. I coniugi che l’abitavano però non si trovano. I giovani figli erano altrove. Loro si sono salvati. I genitori no. Il corpo della madre, 53 anni, verrà ritrovato il 27 giugno. Il padre di 57 resterà disperso. La famiglia si era da poco trasferita a Sorte. Cercavano spazio spinti anche dall’amore per gli animali. Pure il loro cane non è stato risparmiato.

Non ha retto invece la casa vicina, nella quale abitava una coppia. Lei è sopravvissuta. È stata ritrovata sotto le macerie alle 5.40. Lui, ottantatreenne già municipale di Lostallo, non ce l’ha fatta. Era tornato al Sud delle Alpi dopo una vita di lavoro a Obersaxen, dove ha fondato e consolidato un’impresa di costruzioni. La sua scomparsa ha turbato due comunità.

Nelle ore successive al disastro si lavora su fiumi, strade, campi, case e aziende. La seconda ferita più evidente è quella della A13, a Boffalora. Ci vorranno poche settimane per riaprire la via di transito.

L’alluvione della Mesolcina scuote la Svizzera. Il destino ha però scritto solo mezzo copione.

Venerdì 28 giugno MeteoSvizzera annuncia un nuovo week end con preallerta 3.

Sabato mattina, alle 11.00 sale al livello 4. La perturbazione è in cammino verso le Alpi ticinesi. Dalle 20.00 arrivano le allerte localizzate su Alta Vallemaggia e Alta Leventina.

Lì si generano e rigenerano temporali. Una quantità impressionante di acqua trascina con sé tutto ciò che trova. La catastrofe si è messa in moto e il buio diventa un compagno nefasto.

Da mezzanotte e mezza le prime segnalazioni: scoscendimenti e frane. In Val Bavona poi in Lavizzara. Elettricità e comunicazioni si spezzano quando, alle 2.50, prima di Cevio, a Visletto, crolla il ponte sulla Maggia.

Le ricognizioni al mattino sono scioccanti. Si vola per recuperare le persone bloccate. Soprattutto i partecipanti all’Open Air al Campo Draione, scampati al finimondo del Piano di Peccia.

L’elicottero rivela il peggio in Val Bavona. Il rio di Larechia ha esploso un colpo mai visto. La frana lambisce il nucleo di Fontana. Cancella case, stalle e strade.

La località è l’epicentro della tragedia.

Prima Dopo

La foce del Ri di Larechia nella Bavona sotto l’abitato di Fontana. © Swisstopo, Keystone-SDA

Vengono subito trovati i corpi di tre donne, anziane turiste tedesche del Baden-Württemberg. Poco lontano da loro soggiornavano due pensionati sessantasettenni di Locarno. Ci trascorrevano quasi ogni fine settimana. Lo chiamavano il loro Paradiso, perché amavano la natura che ritraevano con l’arte della fotografia. Il corpo dell’uomo verrà ritrovato a Riveo il 2 luglio. Quello della donna tre settimane dopo a Cevio.

Tra i simboli della distruzione la pista di ghiaccio di Prato Sornico. Distruzione e morte. Qui vicino hanno perso la vita altri due turisti, provenienti da Basilea. 61 anni lei e 66 lui.

Irriconoscibile ai primi sorvoli il Piano di Peccia. Allontanatosi in auto dalla festa al campo di calcio, un giovane di Verscio, 23 anni, non è più stato visto. Figura ancora disperso.

Grigioni e Ticino piangono 11 vittime. Il Vallese 2. A sperimentare l’orribile estate 2024, saranno, tra gli altri, anche Brienz e il Mendrisiotto. Lì è andata meglio.

Christian Romelli,
estrattoda“L’estatedellealluvioni”, disponibile su rsi.ch/play (riproduzione con il consenso dell’autore).

In ricordo di Sven Dalessi

In un contesto di tristezza e distruzione come quello vissuto in Vallemaggia lo scorso giugno, ancor più difficile è convivere con le conseguenze.

Soprattutto quelle personali. 

Una di queste tristi realtà tocca la sezione Bivio della compagnia 1 del battaglione fanteria di montagna 30: l’incertezza della scomparsa del nostro camerata, il sergente Sven Dalessi, ultimo disperso delle vittime della furia della natura.

Nel corso degli ultimi anni molti militari hanno potuto godere della sua presenza nei nostri ranghi, apprezzandone sempre i sorrisi, la solarità e la dedizione da lui sempre mostrata e condivisa. Garbato, seguito e apprezzato da tutti i suoi camerati e superiori. L’assenza di Sven lascerà all’interno della sezione e della sua compagnia un profondo vuoto.

Un vuoto che rattrista, che addolora e che fa arrabbiare data la sua giovane età e la crudeltà di quella notte. Un vuoto che, seppur volendo, sarà difficile colmare.

Ci stringiamo alla famiglia condividendone il dolore per l’incertezza, e in particolar modo al fratello, l’aiutante SM Eric Dalessi, aiuto condotta del comandante di battaglione, che insieme a noi manterrà viva la speranza e il ricordo del nostro camerata.

Nel 30 abbiamo un motto: SEMPRE e OVUNQUE. 

È esattamente così che vogliamo pensare a te… caro sergente: SEMPRE e OVUNQUE.

Ciao Sven.

Iten Bernasconi, ten Verzasconi, sgt Annuario, sgt Berisha, sgt Bernasconi, sgt Känel,sgt Pianezzi, sgt Rondi
cp fant mont 30/1

Un ponte tra esercito e comunità

Le immagini che giornali e televisioni hanno mostrato nel corso dell’estate hanno permesso a chi non le ha vissute in prima persona, di farsi un’idea della gravità e della vastità della catastrofe abbattutasi tra Roseto e Fontana, così come a Prato Sornico e Piano di Peccia. Sono queste le tre località in cui la natura è stata meno clemente, ma anche altri nuclei sono stati colpiti. Fra di essi Cevio, dove le acque impazzite della Maggia hanno affossato un pilone del ponte di Visletto. Quel ponte che permetteva il passaggio di persone, di beni di prima necessità e di consumo e che garantiva le comunicazioni. Un ponte il cui crollo ha lacerato la valle, isolando il sopra dal sotto.

Roseto prima Roseto dopo

Il fiume Bavona si avvicina alle case di Roseto. © Swisstopo, Keystone-SDA

“Dare l’idea della gravità” è una formulazione che non è stata scelta a caso. Chi si è recato nella regione prima dell’inizio dei lavori di ripristino, testimonia di una situazione inimmaginabile. Irreale. Indescrivibile. È il sentimento che ha pervaso il distaccamento avanzato che si è recato in Val Bavona. Nel loro rovinare a valle dal Ri di Larechia, a Fontana, i massi hanno invaso prepotentemente il fondovalle, estendendosi da Mondada al Grott di Balöi, con un’ampiezza di più di 500 metri.

Percorrendo la via da Cavergno a San Carlo prima che i conducenti di macchine di cantiere aprissero la pista, a Mondada si riceve il primo pugno. Nello stomaco. Chi si addentra nella valle si trova davanti agli occhi un muro di massi alto almeno 50 metri. Seppure sia un’illusione dovuta al dislivello naturale del terreno. L’effetto è destabilizzante. Disorientante. Dà quasi il capogiro.

Sulla piana sotto il nucleo di Fontana si riceve il secondo pugno, quello che ti abbatte. Dove c’era il bosco, solo massi. Dove c’era la strada, massi. Dove c’erano i pascoli, ancora massi. A rendere ancor più pesante l’esser lì, è l’assenza assoluta di qualsiasi elemento che ricordi la presenza dell’uomo, ad eccezione delle case risparmiate dal cataclisma. A contribuire a percepire come irreale la situazione si aggiunge un silenzio grave, interrotto dallo scorrere dell’acqua nel nuovo percorso del Ri di Larechia, la cui portata non è neppure sufficiente a bagnare i piedi di chi lo attraversa.

Diversa la situazione a Prato Sornico e a Piano di Peccia. Dalla prim’ora la comunità ha potuto attivarsi per cancellare con determinazione la devastazione. La popolazione ha reagito da subito per riportare il più velocemente possibile la normalità. Lì hanno già combattuto i suoi avi in tempi andati. Lì a popolare la valle ci sono oggi altre persone. Lì vogliono che in epoche future possano viverci i loro discendenti.

D’altro canto, basta gettare uno sguardo sulla carta nazionale per notare come la Lavizzara e la Bavona siano cosparse di grossi massi isolati. È la testimonianza che gli scoscendimenti e i franamenti sono parte del DNA di quel territorio e in un qualche modo dei suoi abitanti. Lo ricorda Jonas Marti su La Domenica del 7 luglio citando un passaggio de Il fondo del sacco di Plinio Martini: “Guardavo in giro la fatica che avevano fatto i nostri vecchi a mettere insieme abbastanza terra per non morire di fame: avevano tirato in piedi cascine, costruito chilometri di muri nei prati, drizzati ripari contro il fiume, portata persino la terra sopra i massi più grossi per farci un orto: era una pazienza di secoli, e poi nel tempo di un ave cadeva la frana e la piena portava via tutto”.

Il 30 giugno la storia si è ripetuta. Oggi come ieri uomini e donne affermano con determinazione la volontà di riprendere il possesso di un territorio prepotente, a tratti inospitale, ma che è pur sempre casa loro.

A dar man forte a questa determinazione è stato chiamato anche l’esercito. Dall’annuncio dell’imminente arrivo della truppa, in valle l’attesa degli zappatori del battaglione aiuto in caso di catastrofe era palpabile. Le aspettative nei loro confronti erano enormi. D’altronde non poteva essere diversamente. Con la costruzione del ponte di Visletto, si sarebbe riaperta la via di comunicazione da e per l’Alta Vallemaggia.

AQUA 24, Mabey-Johnson, membri dell'esercito costruiscono il Ponte di sostegno a Cevio, in Valle Maggia, dopo le tempeste nel Ticino. Gli elementi del ponte vengono assemblati.
AQUA 24, Mabey-Johnson, membri dell’esercito costruiscono il Ponte di sostegno a Cevio, in Valle Maggia, dopo le tempeste nel Ticino. Gli elementi del ponte vengono assemblati. © DDPS/ Dominic Wenger

La condizione fondamentale per l’inizio dei lavori dei soldati in ferma continuata era che la preparazione dell’accesso dove è poggiato il ponte, terrapieno e spalle, fosse conclusa. Si è trattato di un lavoro lungo, articolato e della massima precisione svolto dalle imprese civili. L’entità dell’operazione è stata tale che si è resto necessario “sequestrare” una carotatrice in uso in un cantiere della Città di Lugano; altre di tali dimensioni non ce n’erano a disposizione.

Per non languire negli accantonamenti aspettando di poter iniziare con la costruzione del ponte, gli zappatori sono stati convogliati a Piano di Peccia, dove si sono rimboccati le maniche e, pale e motoseghe alla mano, hanno contribuito alle prime fasi dei lavori di sgombero del materiale scosceso. Un’attività a stretto contatto con gli abitanti della località alta valmaggina, che potevano così iniziare ad apprezzare l’indefessa operosità dei giovani in grigio verde, tutti provenienti da oltre San Gottardo.

Con qualche giorno di ritardo è poi giunto il momento di assemblare, elemento dopo elemento, il ponte MabeyJonhnson. I lavori si sono svolti di notte. L’orario quadro, dalle 23.00 alle 12.00, era imposto da un duplice motivo: il ponte è di metallo e dalle prime ore del pomeriggio le sue componenti diventavano incandescenti e quindi intoccabili.

Inoltre, l’assenza dei militari al pomeriggio e alla sera permetteva ai civili di completare i compiti di loro pertinenza senza che vi fosse un sovrannumero di mezzi e di persone che si muovevano, e si ostacolavano, in una zona comunque circoscritta.

Dalle 23.00 del 17 luglio alle 9.00 del 23 luglio, i 35 militari hanno spostato, martellato, avvitato, misurato e posizionato i singoli elementi che costituiscono i 61 metri del ponte provvisorio. Secondo le stime dei tecnici dell’amministrazione cantonale, per i prossimi due anni sarà il passaggio obbligato per raggiungere la Rovana, Cevio e la Lavizzara.

La vicinanza che la popolazione di Piano di Peccia aveva riservato ai soldati si è ripetuta anche a Cevio. Mentre i militari lavoravano sulla sponda sinistra del fiume, su quella destra, ogni notte, un capannello di persone accorreva ad assistere al lento avanzamento, metro dopo metro, della struttura metallica. Una folla di sostenitori che, silenziosamente, ha supportato gli zappatori nello svolgimento del loro compito dimostrando la gratitudine per l’impegno profuso. Una discreta e reverenziale presenza sulla sponda di Cevio, si contrapponeva a quanto avveniva sulla sponda di Visletto: laboriosità, affaccendamento, determinazione, concentrazione sull’obiettivo. Il ponte doveva essere messo al più presto possibile a disposizione delle autorità cantonali, così da permetter loro di procedere con gli ultimi lavori prima dell’apertura: l’esecuzione delle rifiniture, l’asfaltatura della strada d’accesso, la segnaletica stradale, la messa in sicurezza e il collaudo secondo i parametri civili.

Ponte Cevio Prima Ponte Cevio Dopo

La distruzione del ponte del Cevio. © Swisstopo, Keystone-SDA

La costruzione è durata cinque notti, durante le quali i 35 militari, testa bassa e morale alto nonostante le tre settimane senza poter godere di un solo giorno di congedo per far rientro da affetti, genitori e amici, hanno lavorato indefessamente e senza mai lamentarsi. Lo hanno fatto a favore di una comunità a loro sconosciuta, che li ha accolti e che tangibilmente ha mostrato loro, giorno dopo giorno, gratitudine e rispetto.

A modo loro i ragazzi del “ponte dei militari”, fieri di aver potuto dare una mano al Ticino, hanno reso onore al motto della Svizzera, che capeggia sotto la cupola di Palazzo federale: uno pro ominubis, omnes pro uno.

AQUA 24, Mabey-Johnson, soccorso militare dopo le tempeste del giugno 2024. © DDPS / Gian-Luca Weidinger

Mabey-Johnson

Il ponte Mabey-Johnson è un ponte modulare. Le specifiche di quello aperto al traffico il 26 luglio tra la sponda destra e sinistra della Maggia, sono:

  • Lunghezza:61 metri
  • Peso: 130 tonnellate
  • Careggiata:2 metri
  • Transitabilità:traffico alternato
  • Pesomassimo transitabile: 32 tonnellate
  • Periodo di costruzione: 17 23 luglio 2024
  • Orario di lavoro: 2300 1100
  • Militariimpiegati: 35
  • Formazioneimpiegata: battaglione d’intervento d’aiuto in caso di catastrofe

Al fianco della ProtPop

Le basi legali federali e cantonali della protezione della popolazione definiscono i partner della ProtPop, che sono: la polizia, i pompieri, i servizi del sistema sanitario, i servizi tecnici, la protezione civile e… basta. Anche se non ne è formalmente parte, l’esercito viene però impiegato al fianco delle singole organizzazioni, laddove sono soddisfatti i prerequisiti affinché ciò avvenga. È quanto capitato in Valle Maggia.

L’esercito è stato messo a disposizione dello Stato Maggiore Regionale di Condotta dalle prime ore dalla tragedia. Le forze aeree hanno infatti preso parte alla massiccia operazione di ricognizione, ricerca e salvataggio a fianco della Rega e degli elicotteri delle aziende civili, chiamati in forze. L’impiego dei velivoli militari è continuato anche nei giorni successivi per le operazioni di ricognizione e di ricerca dei dispersi.

In un secondo momento sono giunte anche le truppe di terra. Nel ricordo collettivo, i militari in impiego sono idealizzati soprattutto nei soldati zappatori della ferma continuata che hanno costruito il ponte provvisorio di Visletto. Ma non erano soli. In servizio d’assistenza vi erano altri militari del battaglione d’intervento d’aiuto in caso di catastrofe: i conducenti di macchine di cantiere. Anche se il loro lavoro è stato meno visibile, per i due comuni dell’Alta Vallemaggia ha avuto un’importanza rilevante. 

Dapprima hanno realizzato il guado a sud del ponte crollato. Esso ha permesso di ristabilire, seppure non in modo generalizzato, la raggiungibilità dell’Alta Valle per i veicoli di peso superiore alle 3.5 tonnellate che, evidentemente, non potevano passare sulla passerella ciclabile convertita ai veicoli a motore. Poi si sono occupati della costruzione della pista attraverso le frane di Fontana e di Alnedo, in Val Bavona. La terza parte del loro impiego li ha visti impegnati a Piano di Peccia, dove hanno continuato la loro opera con l’obiettivo di liberare i campi dai detriti, tracciare la strada verso gli alpeggi e intervenire sul greto del fiume, così da preservare imprese e abitazioni in caso di futuri straripamenti.

Dall’inizio di settembre ai militari in ferma continuata sono subentrati i conducenti di macchine di cantiere del battaglione del genio 23, nel mentre entrati in servizio per l’annuale corso di ripetizione. Hanno ripreso i lavori in Valle di Peccia e sono tornati in Val Bavona, per garantire la fornitura idrica di Cevio. Hanno infatti scavato il collegamento fra la fonte idrica principale del Comune, vale a dire la sorgente del Chial a Fontana, e la presa dell’acquedotto.

Infine, ai soldati della formazione del genio si sono aggiunti gli specialisti del comando KAMIR. Con un drone equipaggiato di magnetometro hanno sorvolato il letto del fiume che discende la Valle di Peccia, prima, e la Bassa Lavizzara, poi. Il compito era quello di scandagliare il letto del fiume alla ricerca di una presenza rilevante di elementi metallici, così da circoscrivere un’area in cui potrebbe trovarsi il veicolo su cui circolava l’ultimo disperso, travolto dalla furia delle acque. Purtroppo, il loro lavoro è risultato vano.

Senza contare il personale professionista militare e civile, in totale, con i suoi circa 80 militari di milizia, l’esercito ha prestato 1066 giorni di servizio d’appoggio o sussidiario a favore del Canton Ticino e della popolazione dell’Alta Vallemaggia, ai quali vanno ad aggiungersi le 76 ore di volo cumulate dai Super Puma, dagli Eurocopter e dai Twin Otter. Lo ha fatto a stretto contatto dei partner della protezione della popolazione: 762 agenti di polizia, di cui 686 della polizia cantonale, oltre un centinaio di pompieri, 56 soccorritori dei servizi d’ambulanza, 483 militi della protezione civile. A loro vanno ad aggiungersi 226 volontari, i membri della colonna di soccorso, Reddog e di tutte le altre associazioni di intervento.

Facenti parte delle organizzazioni della ProtPop o no, sono più di un migliaio le donne e gli uomini che si sono investiti nel supportare le autorità e la popolazione, confrontate con la più grave catastrofe naturale abbattutasi in Ticino, perlomeno in epoca recente; un esempio di professionalità, senso civico e solidarietà

L’aiuto in caso di catastrofe

Soccorso militare dopo le tempeste del giugno 2024
AQUA 24, conferenza stampa sul tema del supporto all'esercito nelle operazioni di soccorso in Ticino. © DDPS/ 
Dominic Wenger
AQUA 24, conferenza stampa sul tema del supporto all’esercito nelle operazioni di soccorso in Ticino.
© DDPS/Dominic Wenger

L’impiego dell’esercito per servizi di assistenza o sussidiari a favore delle autorità civili a seguito di eventi maggiori o di catastrofi è regolato dalla legge militare. Affinché esso avvenga, seppur esistano delle eccezioni, devono essere rispettate delle condizioni quadro specifiche, fra le quali:

  • deve essere presentata una domanda da parte del Cantone, nella quale compaiano i compiti per cui la truppa viene richiesta a sostegno delle autorità Le autorità militari competenti verificheranno fra le altre cose che l’esecuzione dei compiti richiesti siano fra quelli permessi dalla legge;
  • deve essere dimostrato che l’autorità civile non è in grado di far fronte ai suoi compiti per mancanza di personale, di materiale o di Questo onere spetta all’istanza che deposita la domanda all’autorità militare. Per confermare che i partner civili non hanno mezzi sufficienti, e che quindi l’impiego dell’esercito non entra in concorrenza con l’economia privata, sono coinvolte le associazioni di categoria, che danno un preavviso vincolante.

La motivazione pur cui nel corso degli eventi alluvionali di quest’estate, la presenza (o non presenza) dell’esercito è stata diversa fra Moesano, Ticino e Vallese è da ricercarsi soprattutto nei due punti di cui sopra.

Articolo apparso sulla RMSI 5/2024.

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