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Powerplay senza tiro

L’esercito dovrebbe ricevere 530 milioni di franchi in più del previsto il prossimo anno. Le discussioni in Parlamento sono state avviate la scorsa settimana: il Consiglio nazionale ha deciso di aumentare le spese militari già per il 2025, con l’obiettivo di raggiungere l’1% del PIL entro il 2030. Ora la palla passa agli Stati e poi ci saranno vari botta e risposta tra le due Camere federali per trovare un’intesa sul preventivo.

Nell’ultima edizione della RMSI (5/2024), il maggiore Giovanni Galli analizza la situazione. “Al di là deiproclami sulla necessità di rafforzare la Difesa non si intravede una volontà ferrea di aumentare la prontezza dell’esercito. Per dirla in termini hockeystici, si continua a far girare il disco con uno sterile powerplay senza mai andare a rete”.

Chiuso il capitolo NATO (il Consiglio novra sulla partecipazione alle esercitazioni congiunte; il tema è stato affrontato nel numero precedente della RMSI), in Parlamento resta aperto quello del finanziamento dell’esercito.

Le Camere sono d’accordo sul principio di aumentare il tetto di spesa di 4 miliardi di franchi per il periodo 20252028, portandolo da 25.8 a 29.8 miliardi (il 30% in più rispetto all’ultimo quadriennio) ma non hanno ancora deciso come finanziare l’operazione.

Detto altrimenti, sono sempre in mezzo al guado, fra la volontà di elevare le spese della Difesa all’1% del PIL entro il 2030, così da colmare in tempi relativamente brevi le lacune d’armamento, e l’incapacità dei partiti che sostengono l’esercito di trovare un compromesso.

Va detto che lo stesso Parlamento, sei mesi prima, aveva sottoscritto la decisione del Consiglio federale di rallentare la crescita delle spese militari, spostando al 2035 l’obiettivo dell’1% del PIL.

Le prossime decisioni sono attese per dicembre, quando sarà discusso il budget 2025 della Confederazione. Nel frattempo, la patata bollente è tornata al Consiglio degli Stati che per primo aveva lanciato il sasso. Compito: sistemare i primi mattoni di un piano che finora è stato solo abbozzato e rischia già di naufragare.

La situazione è abbastanza complessa, anche perché sullo sfondo ci sono le difficoltà delle finanze federali, che senza un vigoroso piano di risparmio rischiano di andare fuori controllo dal 2027, con deficit strutturali di oltre 3 miliardi, complici le maggiori spese per l’AVS e per l’esercito. In giugno, affrontando il Messaggio sull’esercito, la Camera dei Cantone ha deciso di andare oltre le richieste del Governo e di aggiungere altri 4 miliardi alla spesa militare quadriennale.

La metà di questo importo dovrebbe essere compensata nella cooperazione internazionale, in pratica con 500 milioni all’anno. La parte restante dovrebbe essere risparmiata nello stesso DDPS (15%) e in altri settori dell’amministrazione (35%).

n settembre, tuttavia, gli Stati hanno già fatto una mezza retromarcia, perché non hanno voluto intervenire sugli aiuti all’estero, lasciando invariato il credito quadriennale (11.3 miliardi, di cui 1.5 per l’Ucraina) proposto dal Governo. Il Nazionale, da parte sua, ha condiviso l’idea di aggiungere 4 miliardi per l’esercito, ha mantenuto il principio di ricavare compensazioni nella cooperazione internazionale (senza tuttavia quantificarle) e ha aggiunto la possibilità di ridurre la quota cantonale sull’imposta federale diretta (ora del 21.2%).

Queste due ultime strade sono assai temerarie, per non dire a fondo cieco, perché toccano corde sensibili e all’atto pratico non si troverà mai una maggioranza in grado di sostenerle. Questa indecisione di fondo che attraversa il Parlamento dimostra che al di là dei proclami sulla necessità di rafforzare la Difesa non si intravede una volontà ferrea di aumentare la prontezza dell’esercito.

I partiti borghesi sono divisi e, complice la situazione difficile delle finanze federali (si prospettano deficit di oltre 3 miliardi dal 2027) non riescono a fare scelte di priorità. Per dirla in termini hockeystici, si continua a far girare il disco con uno sterile powerplay senza mai andare a rete.

È definitivamente caduta anche l’idea di Viola Amherd di aggirare queste difficoltà creando un fondo speciale di 10 miliardi di franchi non sottoposto al freno all’indebitamento, da restituire entro il 2045 attingendo al budget dell’esercito. L’operazione lasciava troppe incognite sia per il rischio di contraddire lo spirito del freno all’indebitamento sia sulla possibilità concreta per l’esercito di riuscire a far fronte alle scadenze, in uno scenario di sicurezza ancora non valutabile.

Quindi restano solo due strade per avere più mezzi: o si trova un modo per tagliare in altri settori o si aumentano le entrate. Le misure di austerità, infatti, da sole, non dovrebbero bastare per far fronte a un deficit strutturale miliardario, all’aumento della spesa federale per finanziare l’AVS e al tempo stesso al potenziamento della Difesa. Lo stesso Consiglio federale, alle fine dell’anno scorso, aveva detto che non era realistico finanziare l’esercito agendo solo sulle spese di altri settori.

Per questo sul tavolo degli Stati è pendente anche una proposta di aumentare le entrate alzando temporaneamente l’IVA. L’ha presentata il “senatore” sangallese del Centro Benedikt Würth spalleggiato da 16 colleghi, fra i quali alcuni esponenti del PLR e due socialisti. Würth parla di una “percentuale di sicurezza” che consiste nell’alzare l’IVA di un punto: 0.6 a favore dell’AVS e 0.4 dell’esercito, idealmente a partire dal 1° gennaio 2026.

Questa operazione porterebbe nelle casse della Confederazione in cinque anni oltre 18 miliardi di franchi (11.1 per l’AVS e 7.4 per l’esercito), rispetterebbe il freno all’indebitamento e non comporterebbe spese straordinarie. Non si tratta di una forzatura o di un ricatto, perché diversamente da quanto era stato fatto nel 2019 con il pacchetto “riforma fiscale delle imprese-AVS” queste due misure sono disgiunte. Il rifiuto dell’una non comporterebbe automaticamente quello dell’altra, e viceversa.

Se la proposta passasse in Parlamento i cittadini verrebbero chiamati alle urne in tempi brevi (non è necessario raccogliere le firme perché il referendum è obbligatorio) e l’esercito non resterebbe a lungo nell’incertezza.

Ogni medaglia però ha il suo rovescio. Questa operazione inciderebbe sui consumatori e sull’economia per 3.7 miliardi all’anno, si sovrapporrebbe all’intenzione del Consiglio federale di aumentare l’IVA per finanziare la 13° AVS (+0.7 punti) e non riuscirebbe comunque a garantire alle forze armate tutti i mezzi per raggiungere l’obiettivo dell’1% del PIL entro il 2030.

Mancherebbero ancora 2 miliardi di franchi, il che renderebbe necessari altri tagli alla spesa pubblica. Inoltre resterebbe un punto di domanda su come finanziare l’esercito una volta scaduto l’aggravio dell’IVA per cinque anni. Il Consiglio federale, pur contrario, non ha voluto chiudere del tutto il discorso: “Qualora il Parlamento dovesse auspicare un aumento delle uscite dell’esercito più rapido”, ha scritto, “un finanziamento tramite l’IVA sarebbe senz’altro una soluzione valutabile”.

Certo, un voto popolare sarebbe ad alto rischio, ma anche il modo migliore per superare i limiti della politica e saggiare la volontà di difesa.

magg Giovanni Galli

Articolo apparso sulla RMSI 5/2024

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