Sia la responsabile della Difesa Viola Amherd, sia il capo dell’esercito Thomas Süssli (che ha parlato di problemi risolvibili di liquidità) hanno negato a più riprese che ci sia un buco finanziario e che l’esercito non sia in grado di onorare gli impegni assunti.
Amherd ha approfittato della presentazione del Messaggio 2024 per ribadire che l’esercito non è in bolletta: “Primo, l’Esercito non è insolvente. Secondo: non vengono ordinati armamenti di difesa che non possono essere pagati. Terzo: quanto riportato come buco finanziario, non è altro che una differenza nella pianificazione rispetto ai fondi disponibili”, ha detto.
Le spiegazioni non hanno convinto tutti, in particolare la sinistra che reclama un audit esterno e vuole chiamare in causa gli organi di vigilanza.
Nonostante l’aumento del budget deciso in un primo tempo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, l’esercito non ha soldi a sufficienza per realizzare gli investimenti che aveva pianificato.
La ragione principale è che il Parlamento ha rinviato in corso d’opera di cinque anni, al 2035, l’obiettivo di aumentare il bilancio all’1% del PIL.
Questa decisione comporta una minore disponibilità di 11 miliardi di franchi sull’arco dei prossimi dieci anni per rafforzare le capacità di difesa rispetto a quanto deciso nel 2022. Per il periodo 2024-2027 il minor importo a disposizione è di 2.1 miliardi.
Soltanto a partire dal 2030 potranno essere fatti investimenti di rilievo nel rafforzamento delle capacità di difesa. In attesa di ulteriori chiarimenti a livello politico, resta un quadro ambivalente.
Da un lato, approvando in modo abbastanza spedito il Messaggio 2024, il Consiglio federale ha dimostrato che al proprio interno c’è una maggioranza favorevole al rafforzamento delle capacità di difesa. Diversamente da altri settori dello Stato, l’esercito non dovrà effettuare in futuro tagli lineari.
Il Governo ha messo nero su bianco che queste capacità di difesa dovranno essere sviluppate, alla luce della situazione geopolitica per le prevedibili forti tensioni fra Russia e Stati occidentali. “La situazione potrà mutare in modo repentino e a sorpresa”, dice il Governo, sottolineando che “in questo nuovo contesto i mezzi militari continuano a essere importanti”.
Si chiede pertanto al Parlamento un credito d’impegno di 4.9 miliardi per l’acquisto di materiale sull’arco di quattro anni: 490 milioni per quest’anno (nuovi missili per combattere obiettivi blindati e oggetti chiave a lunga distanza, unitamente a sensori parzialmente mobili per riconoscere, localizzare, seguire e identificare meglio i velivoli), 886 milioni per gli immobili e 3.5 miliardi per preparare acquisti futuri (come i mezzi di difesa terra-aria a corta gittata e il mantenimento del valore dei carri armati Leopard 2) nel periodo 2024-2027.
Il tetto massimo di spesa dell’esercito per gli anni 2025-2028 sarà di 25.8 miliardi di franchi.
Dall’altro lato c’è la desolante situazione delle forze armate in un periodo di accresciute tensioni. Come due anni fa, è stato ribadito che in caso di conflitto armato oggi l’esercito sarebbe in grado di resistere solo poche settimane. Possono essere completamente equipaggiati solo due dei sei battaglioni panzer, uno dei quattro gruppi di cui è dotata l’artiglieria e sei dei 17 battaglioni di fanteria. Non ci saranno a breve termine né i mezzi per completare la difesa terra-aria a medio raggio, né i mezzi nel 2026 per rinnovare l’artiglieria, che dispone dei vecchi obici blindati M-109 ormai al termine del loro ciclo di vita (hanno una gittata massima di 19 km, mentre i sistemi più moderni sono in grado di sparare fra i 50 e i 70 km), né per la sostituzione dei carri armati, da rinviare agli anni Quaranta. Senza artiglieria, non può aver luogo nemmeno l’impiego combinato dei carri.
Si parla di “gap” temporaneo di capacità, ma d’altra parte, se si considerano i tempi richiesti per l’approvvigionamento dei nuovi mezzi e la formazione saranno necessari anni per ricostituire un apparato efficiente.
“Stiamo perdendo temporaneamente l’esercito” ha detto lo stesso Süssli, una dichiarazione che rende bene lo stato precario della difesa nazionale. Se questo scenario si realizzasse, la Svizzera non solo non avrebbe i mezzi per difendersi ma, stando alle voci più preoccupate da un peggioramento della situazione internazionale, non potrebbe nemmeno dare il suo contributo alla deterrenza e creerebbe una lacuna strategica in un’Europa (Austria compresa) che si sta riarmando. Si pagano certe scelte di disimpegno degli ultimi trent’anni e i nodi vengono al pettine.
La situazione potrebbe essere ancora peggiore perché visti i chiari di luna finanziari della Confederazione nemmeno l’obiettivo dell’1% del PIL nel 2035 appare realistico.
Le spese generali crescono e potrebbero ancora aumentare a dipendenza di alcune eventuali decisioni popolari di quest’anno e dei prossimi. Nell’esercito, a preoccupare, è anche la crescita dei costi operativi dovuta in parte al rincaro e in parte al fatto di dover mantenere sistemi d’arma vecchi e costosi.
Di margini di manovra non se ne vedono, anche perché l’esercito, rappresentando una delle principali voci di spesa, sarà giocoforza toccato dalle manovre di contenimento. Il freno all’indebitamento non consente deficit in un ciclo congiunturale.
C’è chi evoca la possibilità di nuove tasse per finanziare la difesa e chi, invece, ritiene che occorrerebbe trovare una soluzione speciale per le spese militari supplementari al di fuori del freno all’indebitamento (una soluzione del genere è stata presentata agli Stati e poi ritirata). Col rischio, però, di togliere credibilità a uno strumento di disciplina finanziaria che ha dato importanti risultati. Ciascuno reclamerà la sua fetta di risorse.
Di soluzioni miracolose non ne esistono. Solo una soluzione concordata, su chiare scelte di priorità, fra le forze politiche che sostengono l’esercito potrà aprire la strada di una seria ricostruzione.
Articolo apparso sulla RMSI 1/2024 di Maggiore Giovanni Galli