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Capire la sicurezza

Un eccellente strumento didattico, che offre molteplici spunti di riflessione e approfondimento; ideale per un approccio dinamico a un tema più che mai attuale e rilevante.

Tutto questo è la pubblicazione Quanto siamo al sicuro? La politica di sicurezza della Svizzera di Philippe Herren, Hans Utz e Larissa Zogg, edita da SUPSI/Dipartimento formazione e apprendimento-Pädagogische Hochschule Luzern-Comando istruzione dell’esercito. Autori e editori (tra cui la SUPSI, per la versione italiana) meritano un grosso plauso, sia per l’impostazione che per i contenuti. La palla passa ora nel campo di chi lo strumento dovrebbe portarlo in classe, cioè le istituzioni scolastiche e i docenti. Ma lo faranno?

Nella Svizzera tedesca vi sono precedenti incoraggianti, con esempi di istituti in cui certi temi sono già stati affrontati esplicitamente, con lezioni e dibattiti.

Al sud delle Alpi il vento spira di solito in tutt’altra direzione, con resistenze e diffidenze che vengono da lontano. Emblematiche, in proposito, le posizioni assunte da non pochi insegnanti nel dibattito intorno alla reintroduzione della Civica come materia a sé stante nei programmi scolastici ticinesi.

L’iniziativa popolare che lo auspicava partiva dalla constatazione che i giovani dimostravano di conoscere poco, se non per nulla, le istituzioni e il funzionamento del nostro sistema democratico. Il che vuol dire che erano scarsamente consapevoli, per prima cosa, dei loro diritti come cittadine e cittadini e dei modi per esercitarli (per non parlare dei doveri).

Una constatazione fatta anche a livello svizzero (come sottolineato fra gli altri nell’interrogazione del consigliere nazionale socialista Hans Widmer nel 2007).

Un tema importante, dunque, che avrebbe potuto alimentare una discussione critica, ma positivamente costruttiva.

Invece si assistette ad una levata di scudi da parte degli addetti ai lavori, come se una proposta venuta dalla società civile (poiché tale era) costituisse una inammissibile ingerenza nelle loro prerogative di docenti.

A tranciare sulla questione ci pensarono elettrici ed elettori che, con una inequivocabile maggioranza del 63.4%, sancirono l’approvazione dell’iniziativa.

Ne seguì un’applicazione obtorto collo, con modalità particolari e risultati tutti da verificare. Vi fu tra l’altro chi si affrettò a sottolineare come l’Educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia diretta (come è stata denominata la nuova “materia”) non poteva limitarsi, nel XXI secolo, a parlare di temi specificamente legati al nostro sistema politico, ma avrebbe dovuto abbracciare tematiche di più ampia portata, come il rispetto dei diritti umani nel mondo, la sensibilità ambientale, la comprensione e l’accettazione delle varie “diversità”. E via di seguito.

Questioni tutte importanti, di per sé. Ma che in questo contesto sembrano evocate apposta per diluire nel mare magno dei problemi universali gli argomenti che l’iniziativa voleva promuovere, cioè la conoscenza delle nostre istituzioni democratiche elvetiche.

Il tema della sicurezza potrebbe trovarsi alle prese con dinamiche simili.

Stavolta a sollecitarne la trattazione a scuola non è un voto popolare ma la drammatica attualità che i mezzi di informazione ci portano in casa ogni giorno e che la scuola non può esimersi dall’affrontare.

Un principio che sembra condiviso dalle istituzioni: la pubblicazione porta infatti l’indicazione “realizzata in collaborazione con la Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali della pubblica educazione”.

A questo punto lasciare la trattazione del tema esclusivamente all’iniziativa individuale di qualche docente volonteroso, nel nome di un malinteso “rispetto” delle opinioni di ciascuno (leggi: resistenze e diffidenze di cui sopra), sarebbe dimostrazione di poco senso di responsabilità. Ma sarebbe poco serio, per non dire ingannevole, anche accettare o peggio favorire ancora una volta la diluizione dei problemi della sicurezza del nostro Paese in un generico discorso pacifista, ambientalista, multiculturalista ecc. a trecentosessanta gradi.

Parlare di sicurezza significa sì confrontarsi con le catastrofi naturali e le insidie in rete, ma è impensabile farlo senza affrontare il nodo centrale della minaccia militare e dei mezzi per farvi fronte.

“Quanto siamo sicuri?” ha il merito di mettere a fuoco questo aspetto fondamentale (senza trascurare gli altri come le catastrofi naturale o le ciberminacce) in modo lucido ed essenziale: sollevando interrogativi volti a stimolare una discussione critica, ma argomentata e con riferimenti a vicende e controversie che, nel secondo dopoguerra, hanno marcato la storia del nostro Paese.

Ciò che dà particolare valore a questo progetto è soprattutto il fatto di andare oltre l’approccio manicheo che troppo spesso, sulla scia della radicalizzazione politica, tende a imporre visioni aprioristicamente positive o negative del tema (leggi: ipercritici ideologici per cui la politica di sicurezza è tutta da buttare e tradizionalisti a oltranza, che sognano ancora il ridotto nazionale).

“Quanto siamo sicuri?” è uno strumento sicuramente utile per conosce e capire.

Ora si tratta di utilizzarlo.

Articolo di uff spec Giancarlo Dillena
Apparso sulla RMSI 4/2024
Immagine di copertina: Mediateca Svizzera

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