Negli ultimi tempi sono all’ordine del giorno notizie – vere o supposte – di sconfinamenti e voli “mordi e fuggi” di oggetti anche non identificati nella terza dimensione. Non soltanto aerei di sorveglianza dotati di sensori, sistemi di telecamere e antenne, senza piano di volo e senza segnale trasponder, ma anche aerei da guerra (un MIG 31 russo può raggiungere i 3000 km/h e percorrere la distanza Mosca Berlino di circa 1600 km in poco più di una mezz’ora), per cui poi si moltiplicano gli episodi di scramble, ovvero ordini di decollo su allarme, per velivoli che non rispettavano le regole di navigazione aerea.
Premesso che questi episodi ci sono sempre stati, incursioni concentrate in un breve lasso di tempo non sono certo episodi da archiviare come quantité négligeable o come semplici incidenti, ma si inseriscono in una strategia più ampia di guerra ibrida che mira a provocare, creare allerta e mettere sotto pressione l’opinione pubblica occidentale e saturare le capacità (mettendo a nudo le incapacità e le vulnerabilità) di uno Stato di farvi fronte.
L’inazione o la sovrareazione delle istituzioni minaccia non solo la competitività di un paese, ma anche la sua sovranità. Lo scontro è anche a livello di credibilità e di danno reputazionale. In questa situazione rientrano i supposti stress test intesi a verificare la reazione dell’Alleanza Atlantica, ma anche di un Paese neutrale. Lo spettro delle violazioni è molto ampio e variegato. Avvertimenti, intimidazioni, provocazioni, poi, possono essere lanciati anche dall’interno dei paesi interessati.Le incursioni avvengono in particolare anche per mezzo di droni, impiegati orami su larga scala, settore in cui l’Eu-ropa arranca (v. ad esempio, di recente, le riserve francesi sulla partecipazione al progetto dell’eurodrone). Non è solo una questione di numeri e qualità dei droni medesimi, ma anche di dominio tra droni e contromisure per farvi fronte e sconfiggerli. Quest’ondata disruttiva di droni dovrebbe fare da monito, qua-lora ce ne fosse ancora bisogno, sui pericoli che stiamo correndo da tem-po. Ci si potrebbe poi già chiedere se l’implementazione dell’IA e della roboti-ca nei droni (l’uso di sistemi autonomi, senza pilota umano a distanza, sembra migliori anche del 30% la precisione degli attacchi) possa in qualche modo anche rendere obsoleto l’asserito “riar-mo europeo”, che a ben vedere al mo-mento appare piuttosto come una ma-novra di tipo economico e finanziario sugli ormai insostenibili limiti di bilancio imposti dall’UE agli Stati membri.
Disporre di un sistema integrato di allerta e risposta lungo l’intero fianco orientale, dalla Finlandia (di cui 1300 km di confine con la Russia) al Mar Nero è un’impresa titanica, ma so-prattutto estremamente dispendio-sa. L’evocato “muro di droni” appa-re tutt’altro che concreto. Nessuno sembra avere in chiaro quale sistema adottare, eventualmente con un mix di strumenti cinetici (aerei, missili, mitra-gliatrici, droni intercettori) e non (mezzi cibernetici, elettromagnetici o cannoni laser). Anche perché il modello messo a punto dall’Ucraina, oggi tanto decla-mato, necessiterebbe, dicono alcuni analisti, di milioni di droni intercettori. Gli specialisti di Kiev valutano che alla sola Lituania, che ha 900 km di frontie-ra con Russia e Bielorussia, ne servi-rebbero ben 3 milioni.
Intanto la tecnologia avanza inesorabile e non aspetta tempi e modalità di poli-tici e decisori. Si pensi già all’evoluzione nell’uso della fibra ottica. Nonostante i problemi di portata, la fibra ottica per-metterebbe ai droni di passare indenni i sistemi di disturbo e, quindi, neutra-lizzare i sistemi di difesa, in particolare contro i droni. La Russia, poi, avrebbe trovato il modo di aumentare la porta-ta grazie ai fiber-optic repeater drones, ovvero droni ripetitori di taglia più gran-de che controllano dei droni d’attacco mediante un cavo di fibra ottica.
Israele continua nello sviluppo di siste-mi di difesa. Oltre a Iron Dome, David’s Sling e Arrow, ora si aggiunge il sistema a tecnologia ottica ad alta prestazione laser Iron Beam espressamente pen-sato contro i droni, le munizioni circu-itanti – dette anche munizioni vaganti, o droni suicidi o kamikaze: si tratta di un sistema d’arma, in cui la munizio-ne è un drone armato che sorvola una zona, attendendo, in cerca dell’obietti-vo, per poi attaccare solo una volta che quest’ultimo è stato localizzato oppure quando questo si espone – e i missili, ma a costi marginali, anche se impie-gabile in modo limitato in condizioni di visibilità disturbate o di nubi spesse. Ciò per ritrovare un rapporto adegua-to tra costi e benefici (ad esempio, un missile di Iron Dome può costare USD 70 000 al pezzo). Certo, dal profilo dei costi Iron Beam sarebbe acquistabile dalla Svizzera. Il problema è chiara-mente di ordine politico, nella misura in cui è prodotto da Israele.
I nuovi droni russi Shaheds, di fabbrica-zione iraniana, mettono oramai in peri-colo quasi tutta l’Europa, con un raggio di volo e di azione più ampio (compreso tra 1800 e forse 2500 km) e aumentate capacità di trasporto di carica esplosi-va. Per tacere che non mancano aree di lancio posizionate in modo “(s)favo-revole” (Capo Chauda in Crimea, una base di lancio a Bryansk e una terza si-tuata alla periferia di San Pietroburgo).
Per tornare all’Ucraina va segnalato il missile di crociera FP-5 Flamingo, do-tato di un corpo in carbonio prodotto in sole 6 ore grazie a una tecnologia au-tomatizzata, che si caratterizza per una visibilità ridotta ai radar nemici, volando a circa 50 m da terra. È previsto un au-mento della produzione locale dei rela-tivi motori, ora anche di minor comples-sità. Lo scorso 15 settembre l’Ucraina ha annunciato l’entrata in produzione su larga scala di una nuova generazio-ne di droni da combattimento dotati di sistemi di guida basati sull’intelligenza artificiale, un passo avanti nel futuro che in fondo, ormai è già qui. Cosa può succedere nel conflitto con la Russia, però, è ancora prematuro prevederlo, in uno scontro che non è ad armi pari, come “Davide e Golia”, il primo veloce
e innovativo, il secondo – Mosca – più lento ma potente.
Tutti devono orami aspettarsi anche i cosiddetti false flag. Ma c’è anche altro. Ad esempio, gli allarmismi che sfiorano il ridicolo per i Gerbera, ov-vero piccoli droni di polistirolo e carto-ne, super-economici e assolutamente disarmati: arrivati in territorio polacco, qualcuno semplicemente ha finito la benzina ed è caduto, altri sono stati abbattuti (lunghezza circa 2 metri; mo-tore da 60 cc a benzina; materiali di costruzione legno e polistirolo, raggio operativo 300 km, alcuni modelli pos-sono arrivare a un massimo di 580 km; carico utile fra 2 e 5 kg, in genere una telecamera e un sistema di trasmissio-ne dati). Vengono usati di regola come droni esca per attirare il fuoco della contraerea su di loro e permettere ai droni armati di penetrare le difese an-tiaeree. Sono poco più che giocattoli. Il motore è cinese e costa sul mercato circa 400 euro. La struttura portante costa qualche decina di euro.
Va poi rammentato anche il problema di scala che caratterizza questa minac-cia: neutralizzare un singolo drone o un missile non è un problema. Ma quan-do si parla di un centinaio di unità, lo sforzo richiesto in termini di munizioni e sistemi di difesa cresce sensibilmente. E se si parla di migliaia di unità, allora le scorte (qualora presenti) iniziano ine-vitabilmente ad assottigliarsi, per tutti.
1. L’ADS 15
Ritardi e problemi tecnici (da parte di Elbit e della RUAG) sono la cifra del progetto “Sistema di ricognitori tele-comandati 15” (6 velivoli ADS 15). Per finire il drone è stato ordinato con delle restrizioni nell’impiego. Dopo un’ana-lisi approfondita, il settembre scorso il DDPS e l’Esercito hanno deciso di rinunciare a svariate funzioni originaria-mente previste:
- il sistema automatico anticollisione (Detect and Avoid: il volo è limitato durante il giorno e in determina-ti spazi aerei. In concreto, durante il giorno e nello spazio aereo non controllato il drone deve essere ac-compagnato da un aereo di Questo vale fino a un’altitudine di 3000 metri in pianura e 4000 metri nella regione alpina. Al di fuori di queste zone, quindi nello spazio aereo controllato all’interno di zone di interdizione al volo, non vi sono limitazioni per i voli di droni e non è necessario alcun aereo di scorta. Inoltre, di notte il drone può essere impiegato ovunque senza alcun aereo di scorta);
- il sistema per decolli e atterraggi in-dipendenti dal GPS (senza questa funzionalità non sarà possibile effet-tuare voli se la visibilità è fortemente ridotta a causa di nebbia al suolo);
- il sistema antighiaccio (in caso di for-mazione di ghiaccio non è possibile effettuare voli).
Questi componenti avrebbero ampliato notevolmente le possibilità d’impiego, ma per questioni tecniche non hanno potuto essere realizzati come previsto. Nonostante le restrizioni nell’impiego, le capacità fondamentali come la ricognizione con lunghi tempi di permanenza in volo sarebbero garantite.
Il drone può anche fungere da piattaforma per ulteriori sviluppi futuri, se saranno necessari, ad esempio nuovi sensori per l’esplorazione elettronica. Una rinuncia avrebbe comportato una lacuna a tempo indeterminato a livello strategico quanto a droni di sorveglianza e ricognizione e il rischio di perdere almeno una parte dei 240 milioni investiti non essendo – asseritamente chiaro l’esito che avrebbero eventuali cause risarcitorie.
Nonostante queste limitazioni, il drone mantiene le sue capacità di ricognizio-ne principali e resta di grande utilità per l’esercito e per la autorità civili. In fasi di aumento delle tensioni o di forme di conflitto ibride, i droni si occuperan-no della ricognizione relativa a truppe, ubicazioni o settori liberi da truppe e in tal modo sosterranno gli impieghi dell’esercito. Nella quotidianità i droni possono essere impiegati per svol-gere istruzioni, per sorvegliare le ubi-cazioni dell’esercito e per appoggiare le autorità civili in caso di catastrofe. Inoltre il sistema è disponibile su richie-sta dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC), del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) o dell’Ufficio fe-derale di polizia (fedpol).
Al tempo stesso la rinuncia alle tre fun-zionalità comporta anche alcune limita-zioni nell’idoneità all’impiego: in caso di formazione di ghiaccio e se la visibilità è fortemente ridotta a causa di nebbia al suolo non è possibile effettuare voli. Pertanto, nessun volo in caso di condi-zioni che favoriscono la formazione di ghiaccio e in caso di visibilità fortemen-te ridotta. Inoltre, nello spazio aereo inferiore il drone deve essere accompa-gnato da un velivolo di scorta. Esistono poi ancora dei rischi tecnici per quanto riguarda il software e il sistema di con-trollo. Non si può escludere che il forni-tore non rispetti altre tappe principali. Il progetto continuerà quindi a richiedere un elevato impiego di risorse, tempo e condotta. Tuttavia, Elbit ha previsto concessioni sostanziali quale compen-sazione per la rinuncia alle tre funzionalità, come l’assunzione dei costi fissi del contratto di servizio per un massimo di otto anni.
Rimangono “grandi sfide”, in particola-re per quanto riguarda l’omologazione. Finora il produttore Elbit non avrebbe potuto dimostrare che tutti i droni ADS 15 forniti alla Svizzera sono stati pro-dotti rispettando i requisiti di design.
Ciò significa che continua a mancare la documentazione indispensabile per un’omologazione per l’esercizio senza restrizioni. Per questo motivo la Military Aviation Authority (Autorità per l’aviazione militare; MAA) ha stabilito delle condizioni per l’esercizio di volo. In particolare è obbligatorio avere un pa-racadute di emergenza, è necessario rispettare un’altitudine minima di volo, bisogna poter raggiungere punti di at-terraggio di emergenza e bisogna evi-tare lunghi tempi di permanenza in volo sopra aree densamente popolate. Se queste condizioni vengono rispettate, l’esercizio di volo con i droni può esse-re svolto in modo sicuro. È prevedibile che al massimo quattro (dei sei droni) non saranno in grado di fornire le prove necessarie per l’omologazione e saran-no soggetti a determinate condizioni in modo permanente. Elbit ha previsto di sostituire un drone. Ciò consentireb-be di disporre di almeno tre droni che possono essere impiegati senza alcuna restrizione.
2. I timidi, solo recenti, sussulti a livello svizzero
Il peggioramento della situazione geo-politica dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. In particolare, la cesura creatasi nell’ordine della sicurezza europea ha aperto scenari di difficile previsione, alta volatilità, intenso riarmo e fragilizzazione delle catene logistiche di rifornimen-to globali. Si è confermata la rilevanza dei sistemi d’armamento convenzionali e classici, ma soprattutto continua a crescere l’importanza delle nuove tecnologie (Ucraina docet). Ciò che ancora qualche anno fa erano mere ipotesi, ora sono divenute realtà, diventando la base per applicazioni future. I droni sono l’esempio paradigmatico di que-sta trasformazione.
2.1 La velocità è decisiva
Siamo testimoni come non mai di que-sto cambiamento rapido della tecno-logia. Modelli linguistici come GPTfree nel 2020 potevano generare testi e si prestavano a utilizzazioni miste.
L’inizio di ChatGPT alla fine del 2022 è stato dirompente. Dopo 5 giorni dalla pre-sentazione gli utilizzatori erano più di 1 milione. Oggi nel 2025 centinaia di mi-lioni di persone utilizzano l’intelligenza artificiale per generare testi, program-mare, tradurre, creare immagini e pre-sentazioni, automatizzare i processi di lavoro negli uffici, generare narrazioni e prodotti (anche in politica). La massiccia accelerazione dello sviluppo della tecnologia è ineludibile. Lo sviluppo tecnologico procede in modo esponenziale. Nel caso della tecnologia dei droni, questo fenomeno è ancora più evidente, poiché i droni beneficiano an-che dei progressi in altri settori, come l’intelligenza artificiale o i processi di produzione “additiva”. La tecnologia è guidata dal mercato civile ed è quindi progettata principalmente per soddisfare le sue esigenze. All’inizio della guerra in Ucraina l’impiego di droni era ridotto: c’era il Baykar Bayraktar TB2, un drone di media grandezza armato
turco che all’inizio della guerra ha portato con successo attacchi a panzer, a postazioni di artiglieria e convogli. Nel complesso l’attacco con droni era an-cora utilizzato in modo puntuale. Nel 2025 i droni sono onnipresenti, dagli FPV (first person view; “visuale in prima persona”) fino a quelli a pilotaggio via filo o con tecnologia ottica (conversione della radiofrequenza in onde luminose e riconversione in radiofrequenza a destinazione con un’elevata gamma dinamica, consentendo una comunicazione bidirezionale da un drone al suo controller e viceversa). I droni dominano il campo di battaglia moderno e coprono diverse funzioni (sorveglianza e ricognizione, attribuzione di obiettivi, attacchi diretti, logistica e guerra elettronica).
La produzione è impressionante. L’Ucraina si è posta l’obiettivo nel 2025 di produrre internamente 4.5 mio di pezzi. Recentemente durante una conferenza dei direttori dell’armamento per l’appoggio all’Ucraina è emerso che l’Ucraina sarebbe in grado di produrre 20 mio di droni nel 2026.
Nel 2023 erano un milione all’anno. La produzione si è moltiplicata per un fattore 20 con investimenti miliardari. Su un fronte di 250 km è sorta una striscia di 15 km che è dominata da droni: 6000 team di dro-ni operano su quella fascia con più di 100 000 droni al mese. Si tratta anche di droni autonomi in grado di cercare, attaccare e colpire autonomamente gli obiettivi. In sei mesi producono 2 mio di FPV, e 120 000 droni interceptor (in-tercettano e abbattono i droni avversa-ri), oltre a 52 000 droni deep strike che agiscono contro le retrovie avversarie (di recente agli onori della cronaca il nuovo sviluppo Flamingo, fino a 3000 km di distanza e una carica esplosiva di una tonnellata).
Oggi i droni colpiscono tra l’80 e il 90% degli obiettivi russi colpiti dagli ucraini. I tempi di sviluppo si sono ridotti in modo massiccio. Gli Ucraini in poche settimane passano dall’idea, al prototipo fino all’impiego. La velocità è il pilastro fondamentale per essere efficaci in un campo di bat-taglia moderno. Va rilevato che dopo l’Ucraina, la Russia resta il paese più in-novativo in Europa. Il conflitto rinforza la capacità e la forza d’innovazione, che non andrà scemando nell’eventualità di un cessate il fuoco o di un accordo di pace. Ciò significa che la Russia manterrà e amplierà anche in futuro questo vantaggio nell’innovazione.
2.2 La Svizzera quale campione del mondo dell’innovazione, ma non in ambito di sicurezza del paese
Senza un’industria svizzera forte e autonoma non c’è sicurezza. La Svizzera è in testa alla classifica mondiale dell’innovazione per il 15° anno consecutivo. È importante, ma ciò non basta se l’Esercito svizzero non può disporre di sistemi d’arma e tecnologia prodot-ta in Svizzera. Affinché anche l’Esercito svizzero abbia accesso alle nuove e migliori tecnologie occorre che la Svizzera disponga di una base indu-striale per gli equipaggiamenti e gli ar-mamenti locale che abbia prospettive in futuro, insieme a un transfer efficiente di tecnologia da e verso le scuole superiori, le PMI, l’industria e l’Esercito. È quanto si cerca di fare con la prima strategia in materia di politica d’armamento approvata dal Consiglio federa-le il 20 giugno 2025 che intende man-tenere la rimanente base industriale critica ai fini della difesa in Svizzera e rafforzare l’intera base tecnologica e industriale rilevante in materia di sicurezza (STIB). Inoltre dovranno essere potenziate le attività di ricerca, svilup-po e innovazione per sviluppare ulteriormente l’Esercito svizzero e dovrà essere intensificata la cooperazione internazionale in materia di armamenti e nell’ambito della tecnologia chia-ve per la sicurezza. La parte di budget militare destinata alla ricerca e allo sviluppo in questo ambito aumenterà al 2% entro il 2030. Adattamenti alla legge sul materiale bellico sono urgen-temente necessari. In caso contrario l’industria svizzera continuerà e delocalizzare, rendendoci totalmente dipendenti dall’estero. L’industria è un pilastro insostituibile durante un conflitto. L’Ucraina, ad esempio, ha moltiplicato per un fattore 35 il proprio potenziale in tre anni.
Un passo importante in Svizzera è stata la creazione della Task force Droni (TFD), istituita nel giugno 2024 dal capo dell’armamento urs Loher, dal capo dell’esercito cdt c ThoMas süssLi, dal segretario generale del DDPS Daniel Büchel e dalla direttrice dell’Ufficio federale della protezione della popolazione Michaela Schärer. Il controllo è assicurato dal capo dell’esercito e dal capo dell’armamento. La direzione è stata affidata a Thomas Rothacher, sostituto del capo dell’armamento e direttore di armasuisse scienza e tec-nologia (S+T). Con il coinvolgimento dell’industria e del mondo accademico, si intende rafforzare la base tecnologica e industriale rilevante per la sicurezza (STIB), sviluppare competenze nel campo dei droni (d’attacco) e della loro produzione e quindi aumentare la sicurezza della Svizzera. La TFD presta particolare attenzione a un’implementazione il più possibile autosufficiente in Svizzera, al fine di ridurre la dipendenza dalle catene di fornitura internazionali. L’attenzione è concentrata su droni di piccole e medie dimensioni. In questo contesto la TFD funge da test-bed permanente, almeno fino al 2027 compreso. L’acquisto di cosiddetti sistemi Military Off-the-shelf (MOTS, quindi prodotti militari, in contrapposi-zione ai prodotti commerciali [COTS]) non è previsto nell’ambito della task force.
Si vuole creare un cosiddetto “ecosistema” di droni, moderno e in caso di necessità scalabile, rafforzando la capacità di difesa con droni svizzeri, quin-di fornendo all’Esercito svizzero droni per effettuare test e accelerare così lo sviluppo delle capacità e la produzione di droni il più possibile in Svizzera, per ridurre il grado di dipendenza dall’este-ro. Le applicazioni si concentrano in primo luogo sulla lotta contro obiettivi terrestri e, secondariamente, sulla lotta contro obiettivi aerei (difesa contro i droni con droni). Altre applicazioni sono la ricognizione e la rimozione di ordigni bellici. Le diverse applicazioni vengono studiate su diverse distanze fino a 300 km.
Per quanto riguarda i droni d’attacco improvvisati, si cerca di ampliare le ca-pacità di prodotti disponibili in commer-cio con degli effettori, al fine di poterli trasportare e lanciare su distanze brevi (fino a 15 km).
Una seconda direttrice riguarda i par-tner svizzeri che producono droni per la difesa contro i droni di piccole di-mensioni (Counter-Unmanned Aerial Vehicle, C-UAV) in grado di respingere i droni nemici a breve distanza, con o senza mezzi di difesa aggiuntivi.
Si vuole poi utilizzare la forte base tec-nologica svizzera per individuare nuovi approcci tecnologici relativi al compor-tamento degli sciami di droni, testando i diversi impieghi (swarming).
Inoltre, sulla base delle piattaforme per droni svizzere esistenti viene realizzata una nave madre, in grado tra l’altro di portare nei pressi di una zona di obiet-tivi lontana (300 km) droni d’attacco improvvisati o altre munizioni circuitanti. Infine, aziende svizzere altamente spe-cializzate collaborano alla creazione di un microdrone svizzero multiuso che, grazie alle sue misure ridotte, può es-sere trasportato facilmente da una per-sona e utilizzato per diversi compiti nel campo strettamente militare.
In Svizzera la più grande sfida è costi-tuita dagli apparati regolatori, in quanto imprigionati in una sorta di tensione tra perfezionismo (anche di comodo) el-vetico e realtà del ciclo moderno della tecnologia. In Svizzera occorrono tre mesi (sic!) per ottenere un’autorizza-zione per svolgere dei test con un dro-ne. Se si vuole cambiare un’elica o un propulsore a un drone occorrono auto-rizzazioni supplementari. Con riguardo al rapido cambiamento tecnologico e l’aumento dell’importanza dei droni in questo momento storico queste tem-pistiche sono chiaramente inadeguate, anacronistiche e fuori dalla realtà. Già solo pensando al prossimo step tecno-logico che è ormai in arrivo: entro un anno, quanto si osserva nel cielo con i droni, si comincerà a osservare anche a terra e in mare.
Se un forte polo di innovazione rap-presenta un fattore di sicurezza per la Svizzera, la sovranità tecnologica ne-cessita di uno spazio e di condizioni di sviluppo confacenti per rimanere resi-lienti e in grado di operare. Non esisto-no procedure abbreviate per armasuis-se o l’esercito. Swiss Innovation Force si dà da fare. C’è poi il problema delle acquisizioni. La scalabilità è (anche) un problema giuridico. Se si inizia a col-laborare con qualcuno e poi si vuole scalare la produzione in caso di neces-sità, il partner dovrebbe essere pronto a condividere i risultati con i concorrenti sul mercato. Comprensibilmente vi è scarso interesse a condividere i propri business case. In Svizzera nel passato si aveva tempo per tutto: lavorando an-cora ora in questo modo e regolando tutto nel dettaglio i processi si allunga-no. Per quanto riguarda l’ambito dei droni (ma anche i progetti tecnologici in generale) questo approccio è sem-plicemente un disastro. Se si parla, ad esempio, di una munizione per l’arti-glieria il suo percorso è prevedibile. Si sa sostanzialmente che traiettoria se-gue e dove andrà a cadere. Nei droni esiste il pericolo che non siano più pilo-tabili e che si cerchino autonomamente il percorso da seguire. Questo rischio viene (sopra)valutato in modo così im-portante in Svizzera, che non si riesce a testare praticamente nulla! E non si parla qui di droni che portano cariche esplosive, ma di un normale drone da ricognizione. Al di là degli esercizi di comunicazione istituzionale, questa si-tuazione è semplicemente penosa. Gli aspetti regolatori e le condizioni quadro sulle piazze di tiro sono ancora più se-vere di quelle utilizzate dall’Ufficio fede-rale dell’aviazione civile (sic!). I tentativi di ottenere regolamentazioni particolari per essere più veloci in ambito di test sono in corso, ma resta il problema che in Svizzera non abbiano terreni dove possano essere testati i droni!
2.3 Una cooperazione affidabile è ineludibile
Nella collaborazione nazionale e inter-nazionale si cerca l’accesso alle cono-scenze critiche. Un partenariato implica un dare e un prendere, i contributi di esperti svizzeri a livello di panel di ri-cerca internazionali sono ben valutati, negli altri programmi di innovazione e ricerca, anche a livello NATO. Tuttavia, dal punto di vista delle sfide che riguar-dano gli armamenti va rilevato il collo di bottiglia venutosi a creare a livello di domanda; un problema che si aggrava in caso di un acquirente di quantitativi (ridotti) come la Svizzera, la quale non facendo parte di alleanze può approfit-tare in modo estremamente limitato di ordinazioni in gruppo. Ci sono lunghi tempi di consegna (3-5 anni) e i prezzi aumentano (ad esempio i prezzi delle munizioni di artiglieria dal 2022 è qua-druplicato). Vi è poi il problema della perdita di fiducia da parte dei partner europei (percepibile in Svizzera e nel-la sua industria). In tempi di instabilità e insicurezza la fiducia e i partenariati sono importanti per sfruttare i punti di forza di tutti. Non sopravvivono le spe-cie più forti o più intelligenti ma quel-le che si adattano più rapidamente al cambiamento (Darwin). A quando un vero impegno verso una velocità di innovazione anche nella sicurezza at-traverso il rafforzamento dell’industria?
Un programma di armamento non ba-sta. Le priorità dei fornitori cambiano e gli acquisti svizzeri vengono ritardati. Occorre disporre di un certo stock in Svizzera di materiale non disponibile o soggetto a forte domanda. Si cerca quindi di migliorare le condizioni quadro e di sostenere l’industria. Una grande sfida per la TFD nelle discussioni con l’industria e che si vuole creare il citato “ecosistema”. Sappiamo dalla guerra in Ucraina che un drone dopo 3 mesi non produce più un gran effetto. È il gioco del gatto con il topo, l’uno disturba i segnali dei droni, l’altro ne produce di nuovi. Ciò significa che, di per sé, cre-are stock di materiale non sembra es-sere una buona idea, a causa di questa sorta di obsolescenza. L’industria aiuta volentieri, ma vuole garanzie affinché quanto conformemente prodotto sia poi accettato dal committente. Invece è necessario poter scalare la produ-zione in caso effettivo. Se la Svizzera è considerata la Silicon Valley dei droni, in realtà disponiamo di pochi droni e gli investimenti si concentrano su quelli di media e piccole dimensioni nella misu-ra di 50-100 milioni all’anno (ndr. su au-spicati, a tendere, 10 miliardi di franchi di budget dell’esercito?).
A seguito di una prova eseguita sul campo, condotta dal Centro di compe-tenza droni e robotica del DDPS volta a individuare e respingere mini droni per proteggere le infrastrutture militari, a inizio ottobre l’esercito ha incaricato l’Ufficio federale dell’armamento arma-suisse di acquistare appositi sistemi di difesa, progettati per essere parzial-mente mobili e quindi utilizzabili anche per impieghi sussidiari dell’esercito in favore delle autorità civili. Sono neces-sarie misure efficaci contro i minidro-ni avversari. L’obiettivo è costruire il know-how necessario per proteggere in modo affidabile truppe, infrastruttu-re e veicoli dai droni da ricognizione e d’attacco delle categorie micro e mini. Siamo agli inizi anche per quanto ri-guarda l’istruzione di piloti di droni da parte della TFD (una ventina), anche se si ritiene che possano essere formati abbastanza velocemente. L’istruzione non è ancora standardizzata. Non si parla qui dell’ADS 15, ma di droni di medie e piccole dimensioni. Il cosid-detto swissfinish di principio pare non essere più all’ordine del giorno, ma contingenze locali o particolari impon-gono ancora di procedere con adatta-menti (ad esempio a Meiringen il decol-lo e l’atterraggio avviene in condizioni particolari per cui non esistono sistemi radar sul mercato che vadano bene senza adattamenti, a causa anche di li-miti di natura fisica). Acquisire droni sul mercato di principio sì, ma non in tutti i casi.
Va salutato l’approccio di cooperazio-ne di spingersi “il più lontano possibile”, e questo fintanto che la Svizzera può ancora decidere in modo autonomo l’utilizzo dei propri mezzi. L’iniziativa Sky Shield, approvata recentemente
dal Consiglio federale, va nella direzio-ne di sistemi in grado di comunicare eventuali sconfinamenti in arrivo, an-che di droni che non sono stati ancora intercettati.
3. Una Svizzera esposta e indifesa
Summa summarum la truppa di mili-zia non può fare altro che apprendere con i propri mezzi cosa significhi ope-rare in presenza di droni, ritenuto che la Svizzera non possiede droni per la distruzione di obiettivi e per il disturbo dei segnali, ma unicamente droni per la ricognizione e per la sorveglianza.
Senza dimenticare il problema giuridico generale, civile e militare, tutto svizzero ma in casu non per forza necessario, legato alle competenze. Di recente la Germania ha discusso un ampliamento delle competenze della polizia federa-le, in cui la difesa da droni è anche un tema. Solo alcuni aeroporti e aerodromi svizzeri sono dotati di un sistema di rile-vamento anti-drone. Il recente rapporto del Consiglio federale rileva gravi lacune: la Svizzera è incapace di intercettare droni ostili. Così, per esempio, Berna-Belp, nonostante accolga regolarmen-te aerei del Consiglio federale e di capi di Stato stranieri, non dispone di alcu-na attrezzatura, al contrario di Zurigo-Kloten e San Gallo-Altenrhein, pionieri in materia. Ginevra e Basilea-Mulhouse rimangono evasivi sui dispositivi a loro disposizione (ma a che standard viene verificato il concetto di gestione del ri-schio di queste infrastrutture?). L’UFAC è piuttosto un’autorità deputata alle au-torizzazioni e la sorveglianza, ma non per il caso di incursioni. Ci sono poi le polizie cantonali (ma le basi legali e i mezzi dove sono?). Infine, l’Esercito in-terviene ma in casi straordinari. Vista la velocità di reazione richiesta in caso di sconfinamenti e penetrazioni, lo stallo da parte degli enti deputati (eventual-mente) ad intervenire è servito.
Durante il congresso autunnale 2025 dell’ACMIL tenutosi il 13 settembre 2025 al Politecnico federale di Zurigo è stata affrontata la questione di come possa difendersi oggi la Svizzera. La conferenza ha messo in luce l’urgen-za della situazione in materia di politica di sicurezza. Nell’introduzione è stata citata l’ultima opera dell’autore britan-nico keir GiLes, che descrive la lotta dell’Europa per la propria capacità di difesa come una corsa contro il tempo. Questa valutazione coincide con gli av-vertimenti dei Paesi confinanti. Ma an-che in Svizzera si moltiplicano le voci di allarme. Recentemente, il Servizio di in-formazione della Confederazione (SIC) è giunto alla conclusione che anche la Svizzera è colpita da una guerra ibrida. Un altro punto centrale è stata la que-stione di stabilire quando le azioni nel cyberspazio e nello spazio informativo debbano essere classificate come at-tacchi armati, dato che i loro autori sono spesso difficili da identificare. È qui che dovrebbe entrare in gioco il concetto – ancora alquanto nebuloso e suggestivo di “difesa globale” – che svilupperebbe misure efficaci già al di sotto della so-glia della guerra convenzionale.
Il 20 ottobre 2025 armasuisse ha an-nunciato l’acquisto di un sistema di ra-dar parzialmente mobili a corta gittata per colmare le lacune nella sorveglian-za dello spazio aereo inferiore da parte delle Forze aeree svizzere e migliorare il profilo di capacità della rete informativa integrata e dei sensori. La commessa è stata aggiudicata al produttore italia-no Leonardo con il suo sistema TMMR (Tactical Multi Mission Radar). Il rag-giungimento della piena capacità del
progetto “Sviluppo delle capacità di ra-dar parzialmente mobili a corta gittata” è prevista nell’ambito del messaggio sull’esercito 2028. Il nuovo radar par-zialmente mobile a corta gittata sarà in grado di compensare le lacune in fatto di capacità per la copertura dello spa-zio aereo inferiore e intermedio deriva-te dalla messa fuori servizio del radar tattico d’aviazione (TAFLIR) prevista nel 2030.
Il TMMR è in grado di rilevare, classi-ficare e tracciare bersagli nello spazio aereo inferiore ed intermedio, nonché di identificarli mediante il sistema di riconoscimento amico-nemico (IFF); inoltre, essendo parzialmente mobile ed a portata corta, il radar può essere posizionato rapidamente per coprire le necessità. Il TMMR è un nuovo radar tattico multi-missione AESA (Active Electronically Scanned Array), operan-te in banda C di Leonardo, con moduli trasmettitori-ricevitori TRM al nitruro di gallio (GaN), progettato per rilevare, classificare e tracciare bersagli di pic-cole dimensioni e ad alta manovrabilità, come ad esempio i droni, in funzione C-UAS (counter-unmanned aerial sy-stem, ovvero sistemi di controllo e neutralizzazione di droni) e anche per il contrasto di razzi, proiettili di artiglieria e bombe da mortaio o C-RAM (Counter Rocket, Artillery, and Mortar). Tale radar è pensato per integrare i più potenti ra-dar da difesa aerea, per la sorveglianza e la protezione delle infrastrutture. Il si-stema può fornire copertura a 360° con quattro antenne, con elevazione fino a 90°, e ha una portata utile compresa tra i 7 ed i 25 km per bersagli aerei e fino a 20 km per individuare bersagli terrestri. Di dimensioni ridotte, pesa cir-ca 50 kg ed è trasportabile a mano da un paio di operatori.
Dopo quanto sin qui illustrato, rimane che il sistema di difesa svizzero non è in grado (e questo da tempo) di com-battere attacchi tramite droni, anche soltanto a carattere esplorativo, o mis-sili da crociera, o missili balistici o armi ipersoniche. Il capo dell’armamento Urs Loher sostiene che l’Esercito è in grado di proteggere solo l’8% dello spazio aereo elvetico. Nel nostro arse-nale, infatti, ci sono soltanto 30 caccia F/A-18 (obsoleti), 14 F-5 Tiger (ancora più vecchi) e 27 cannoni antiaerei (degli anni 60).
La situazione non si risolverà, ad essere ottimisti non prima del 2028, nemmeno con l’arrivo dei 36 (?) controversi F-35 americani; delle cinque unità Patriot per la dife-sa antiaerea a lunga gittata (non solo soggetti anch’essi a rischi di ritardi, ma la cui efficacia in ottica di svilup-po tecnologico sarà tutta da capire, siccome sarebbe crollata dal 42% al 6%, a causa dei nuovi missili russi più veloci e manovrabili, mentre un aggiornamento con il nuovo modello non appare affatto scontato, avuto riguardo ai dubbi sulla capacità pro-duttiva e sull’effettiva efficacia); e dei 5 sistemi IRIS-T SLM (acqui-sto siglato a luglio 2025 con la Diehl Defence, il sistema ha una gittata utile di 40 km e può ingaggiare ber-sagli fino a 20 km di altezza, inclusi velivoli, elicotteri, droni e missili da crociera a medio raggio).
Per quel che concerne le difese a cor-to raggio, poi, non si può che rimanere perplessi dato che il DDPS non sem-bra mettere priorità in questo ambito, quando questa sarebbe la misura più urgente per migliorare la protezione contro i droni. Per tacere, infine, che i sistemi di difesa contro i droni di grandi dimensioni e i missili da crociera a bas-sa quota sarebbero acquistati soltanto dopo il 2030.
Il 21 ottobre 2025 la Commissione del-la politica di sicurezza del Consiglio nazionale (CPSN) ha adottato la mozione 25.4396 con 21 voti favorevoli, nes-suno contrario e 4 astensioni, la quale chiede al Consiglio federale di moder-nizzare e velocizzare le procedure di acquisto in modo da consentire di pro-curare il più rapidamente possibile i sistemi e le munizioni necessari a proteg-gere lo spazio aereo svizzero. I recenti avvenimenti (non prima?
Per i distratti già il conflitto nel Nagorno-Karabakh nel 2020) che hanno coinvolto droni nei cieli europei hanno dimostrato quanto sia urgente disporre di un’efficace difesa anti-drone. La Commissione ritiene che in un momento contraddistinto da tensioni geopolitiche e guerra ibrida, i droni possono rappresentare anche in Svizzera un pericolo per le infrastrutture critiche come aeroporti, impianti ener-getici o centri finanziari. Le tradizionali procedure di acquisto non sono a suo parere più adatte in una situazione straordinaria. La mozione 25.4396 sarà presumibilmente trattata dal Consiglio nazionale durante la sessione invernale. Il DDPS ha anticipato alla Commissione che entro pochi mesi presenterà in un rapporto la sua strategia per la difesa aerea e anti-drone. Di conseguenza, la Commissione ha per il momento rinunciato a presentare postulati per chie-dere una strategia globale sulla difesa anti-drone e contro tutte le minacce provenienti da sistemi senza pilota.
Il 31 ottobre 2025 anche la Com-missione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati (CPS-S) ha chiesto che il Consiglio federale in corpore effettui finalmente una valutazione della situazione in materia di politica di sicurezza. Chiede – tra l’altro – anche di colmare le lacune nella capacità di difesa e di assicurare in tempi brevi una difesa aerea e anti-drone.
Affaire à suivre…
Articolo apparso sulla RMSI 5/2025
di Colonnello Mattia Annovazzi


