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L’Elefante, l’Orso e la Bella Addormentata

L’ingresso fracassone dell’elefante Trump nella cristalleria delle consolidate relazioni transatlantiche ha avuto almeno un effetto positivo: ha risvegliato dal suo pluridecennale torpore la Bella Addormentata. Così, non a caso, è stata a lungo definita dagli stessi leader politici del Vecchio Continente la difesa comune europea.

Un progetto da sempre auspicato, caldeggiato, proclamato. Ma nei fatti sempre rimasto fermo al palo. A cominciare dall’Unione Europea Occidentale, nata nel ’48 e sciolta, senza lasciare traccia o rimpianti, nel 2011. Su su fino alla recente Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), fatta ancora una volta di tante parole, intenzioni dichiarate, documenti di principio; ma di pochi fatti.

La verità, avvolta fin qui in un velo di ipocrisia condivisa, è che per quasi ottant’anni l’Europa ha vissuto di rendita, sonnecchiando sotto l’ombrello nucleare americano. Ha evitato così di assumersi le responsabilità e soprattutto gli oneri di una vera difesa comune. Tanto il grosso della fattura l’avrebbero pagato gli americani, che non solo disponevano (e dispongono) dell’arsenale necessario a una dissuasione nucleare credibile, ma da cui ci si attendeva, in caso di aggressione agli alleati, un rapido ritorno in forze sui campi di battaglia che li avevano già visti per due volte, nel XX secolo, correre in soccorso delle democrazie europee.

Questo prometteva in modo esplicito Reforger (acronimo di Return of Forces to Germany), la maggiore esercitazione periodica della NATO, con lo spostamento in due settimane di oltre quattro divisioni dagli USA alla RFT, in caso di attacco (o minaccia di attacco) da est. Perché dunque preoccuparsi di rafforzare le proprie forze armate e affrontare i molti nodi che comportava (e comporta) la definizione e l’implementazione di una struttura militare integrata europea?

Meglio spendere per promuovere l’economia, il grande mercato unico e soprattutto le grandi strutture burocratiche comunitarie. Lasciando la Bella Addormentata a sonnecchiare nel suo giaciglio.

Poi The Donald ha bruscamente suonato la sveglia. E i custodi della Bella hanno realizzato che, in un mondo segnato da crescenti tensioni e dal ritorno della guerra ai confini europei, i sogni e le buone intenzioni non bastano più. Come non servono a molto le denunce indignate, i pressanti appelli ai “valori comuni”, il vai-e-vieni frenetico tra le due sponde dell’Atlantico.

Anche se col tempo Trump sarà probabilmente costretto a mettere acqua nel suo vino (molti e diversi interessi americani restano legati all’Europa) l’unica vera strada percorribile per dare una certa sicurezza al Vecchio Continente è che questo provveda innanzitutto con i suoi mezzi. Gli eventi recenti, dal vertice di Parigi in poi, hanno dato in questo senso segnali significativi. Gli Europei devono riarmarsi e mettersi in condizione di battersi. Questo è il messaggio. Bene. La strada rimane però lunga: per raggiungere un livello credibile di capacità difensive occorre spendere di più, molto di più. Su questo sembra esserci chiarezza (finalmente).

Ma ci vuole anche tempo, parecchio tempo.

Bisogna rivitalizzare un’industria militare europea che non è inesistente ma che, per sostenere realisticamente una effettiva capacità militare (soprattutto nel tempo) ha bisogno di essere di molto rafforzata e soprattutto meglio coordinata. Se in questo senso l’urgenza è avvertita e le intenzioni sono buone, rimangono gli strascichi della frammentazione che ha segnato i decenni passati.

E occorre definire, impostare e mettere finalmente in piedi una struttura militare comune e integrata, che è qualche cosa di assai diverso dalla somma delle singole, limitate iniziative che caratterizzano il panorama attuale. C’è ancora la NATO, naturalmente, con i suoi impegni formali: in particolare l’art. 5 del Patto atlantico, che sancisce: “un attacco contro un membro dell’Alleanza è un attacco contro l’Alleanza”.

Ma con la nuova aria che tira a Washington, fino a quando e fino a che punto continuerà a valere?

Rimpiazzare o integrare le collaudate strutture dell’Alleanza con una nuova organizzazione targata UE non solo non appare facile, ma può sollevare qualche giustificato interrogativo, vista la propensione della UE ad affrontare i problemi soprattutto in chiave di regolamenti e burocrazia.

V’è poi tutto il capitolo della deterrenza nucleare. Oggi solo Francia e Gran Bretagna dispongono dell’arma atomica. Anche se i loro arsenali sono decisamente più modesti di quelli degli USA (e di Mosca) possono comunque costituire una base di riferimento. Il che significa però anche assegnare a chi li possiede una posizione preminente, che gli Europei dei molti proclami unitari, ma anche delle molte diffidenze, divisioni e ostilità, non sono necessariamente pronti a concedere. Il presidente francese ha subito lanciato la sfida della possibile condivisione con gli altri paesi… ribadendo però che il dito sul grilletto atomico deve restare francese.

Questa questione ne richiama subito un’altra, cruciale: quella della reale volontà degli europei di battersi, se fosse necessario. Sono pronti oggi i francesi, i tedeschi, gli italiani e tutti gli altri, come si diceva una volta riferendosi a Danzica, a “morire per Tallin” (solo una fra le potenziali prossime prede dell’orso russo)? Credo che gli stati baltici, nonostante le rassicurazioni fin qui ricevute, si pongano la domanda con inquietudine. Anche perché, nonostante le grida corali “all’orso! all’orso!”, non sono pochi coloro che ritengono che fra l’ossessione di Mosca di ritrovare uno status imperiale sulla scena internazionale e la sua volontà e capacità di affrontare uno scontro militare diretto con l’Europa ce ne corra.

La minaccia, in altre parole, in linea di principio esiste, ma andrebbe di molto ridimensionata. Con queste premesse è difficile immaginarsi una mobilitazione europea che vada oltre i proclami e riesca a durare nel tempo.

In effetti, dopo lo shock dello scossone trumpiano, l’UE ha fatto fin qui quello che sa fare e fa da sempre: solenni dichiarazioni di principio e stanziamenti miliardari.

L’intento di riarmarsi va certamente nella giusta direzione ed è da salutare positivamente. Anche perché giunge, non casualmente, in un momento in cui una massiccia iniezione di denaro pubblico è particolarmente benvenuta per un’industria europea in grave affanno. Ma la prospettiva di finanziarla ampliando ulteriormente il già imponente debito pubblico non può non sollevare qualche preoccupazione. Si tratterà poi di conciliare 27 politiche nazionali dettate da visioni e soprattutto interessi non necessariamente convergenti (significativi segnali, in quest’ottica, già sono emersi).

Quella che aspetta l’ex-Bella Addormentata non è insomma una passeggiata. Assomiglia piuttosto a una Lunga Marcia. In salita. Sarà dura, per chi era abituato a sonnecchiare all’ombra, o meglio sulla groppa dell’Elefante. 

Articolo scirtto dal ufficiale specialista Giancarlo Dillena
RMSI 2/2025

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